Un filosofo (Giuseppe Di Giacomo) e uno storico dell’arte (Claudio Zambianchi) si consorziano per selezionare brani del panorama della teoria dell’arte del XX secolo intorno al tema, senza dubbio tra i più annosi, delle
origini dell’opera d’arte contemporanea.
Contrariamente a quanto ci si aspetta da un’antologia, non di rado un incalzante susseguirsi di estratti di cui faticosamente si riesce ad afferrare la portata e dei quali sfugge la connessione d’insieme, la curatela assicura una struttura coerente che non solo restituisce i brani al loro contesto, ma ne rinnova e ne estende il potenziale interpretativo. Il volume presenta alcuni dei protagonisti della storia e della critica dell’arte del XX secolo e le teorie formulate nel tentativo di definire il ruolo e lo statuto dell’opera d’arte in un’epoca, quella contemporanea, in cui i rapporti fra arte e realtà, arte e vita, arte e società assillano la riflessione e si dimostrano sempre meno comprensibili alla luce degli schemi e delle categorie dell’estetica moderna. Questo gesto, supportato dall’esaustivo apparato di prefazione e postfazione, ha il pregio di indicare con precisione gli snodi principali dello sviluppo dell’opera d’arte contemporanea,
ma anche di portare l’attenzione sui modi e le possibilità del suo
racconto.
La scansione dei capitoli ripercorre le tappe della parabola del modernismo, dall’affermarsi delle teorie formaliste, che proclamano l’
autonomia e l’
autosufficienza dell’opera, passando per il loro principale teorico Clement Greenberg, al loro declinare sotto i colpi della
storia che impone di cercare
Altri Criteri (Leo Steinberg) per comprendere lo sviluppo dell’arte, perché da ogni parte ciò che arte non è preme contro i suoi fragili confini e si dimostra fattore determinante delle sue trasformazioni.
Greenberg, del quale sono riportati due saggi importanti (
Avanguardia e Kitsch e
Pittura modernista), è senz’altro il bersaglio polemico favorito delle teorie dell’arte che maturano negli anni ’60. Il critico americano ha raccolto l’eredità dell’arte moderna nel tentativo di interpretarne le tendenze evolutive e ha identificato il modernismo come il momento in cui l’arte ha finalmente raggiunto e conquistato lo spazio della propria autonomia e ha fatto dei propri specifici mezzi di produzione l’oggetto di un’autoriflessiva messa in opera. I saggi che seguono (Steinberg, Danto, Krauss) sono argomentazioni perspicue di come l’arte, quella contemporanea in modo eminente ma non esclusivo, sia una continua smentita della diagnosi greenberghiana. Interrogandosi sulla problematicità dei concetti di
autonomia,
origine e
originalità, mostrano che l’arte contemporanea è piuttosto un’esperienza del dis-orientamento, della perdita del luogo d’origine, scoperta ed esibizione del fatto che l’origine stessa non è che un
mito, un racconto necessario sì, ma di finzione. Le categorie di autonomia e originalità sono depotenziate, l’originalità di un’opera d’arte viene a coincidere con la “
griglia” (Krauss) che fornisce
ab origine lo schema della sua riproducibilità.
Dunque, l’arte ci mette di fronte alla necessità di abbandonare uno schema di lettura lineare e progressivo, teleologico, ponendosi piuttosto come inesausta domanda alla tradizione che l’ha preceduta, alla filosofia che la pensa, alla storia che si stratifica nelle sue forme, alla forma stessa in quanto essa è “
contenuto sedimentato”, come recita una frase chiave della
Teoria estetica di Adorno, della quale è raccolta una pertinente selezione di estratti.