Dieter Daniels è stato il direttore del Ludwig Boltzmann Institute Media.Art.Research a Linz e della mediateca dello Zkm a Karlsruhe. Barbara Schmidt è ricercatrice nellâIstituto di Linz e ha diretto il progetto ministeriale
New Media Images. Queste poche informazioni sui curatori del volume sono basilari per inquadrare questo
Artists as Inventors. Inventors as Artists, ossia il nodo e snodo fra arte, scienza e tecnologia che in Austria, con il Festival
Ars Electronica, viene annualmente dibattuto.
Ă dâaltro canto un tema che ha conosciuto la propria nascita o rinascita nel XVIII secolo e che, da vari punti di vista, comincia a mostrare la corda, vuoi per ragioni economico-sociali (lâodierna organizzazione produttiva), vuoi per lo scarso ricambio generazionale (anagrafico e di
forma mentis) fra gli studiosi di questâarea. Nella fattispecie, lo si nota leggendo lâelenco dei nomi degli artisti intervistati:
Paul DeMarinis, la cui scheda rammenta il suo impegno come â
electronic media artistâ sin dal 1971, o
Billy Klßver, ingegnere svedese che collaborò con
Tinguely,
John Cage e
Rauschenberg.
In altre parole, per comâè posta nella maggior parte dei casi, è una questione che pare consegnata alla
modernitĂ e a uno dei suoi
grand rĂŠcit, la possibilitĂ -magari da parte di un genio isolato e romantico- di edificare un ponte fra le
Due culture di cui parlava C.P. Snow.
Ciò non toglie che si possa continuare a dibatterne, con un approccio storico o adoperandosi per rileggerla con lâausilio di nuovi strumenti teorici.
Il problema principale resta tuttavia di carattere identificativo (ben lo evidenzia Simon Werrett nel suo intervento): come si può discutere insieme quando il significato che si attribuisce a termini quali artista e scienziato differisce in maniera sostanziale, ontologica? Si prenda il colto saggio di Daniels,
Artists as Inventors and Invention as Art: A Paradigm Shift from 1840 to 1900. Lâimpronta storica non elude affatto le domande teoriche. E sin dal titolo ci si può chiedere cosa voglia sostenere lâautore quando caratterizza lâinvenzione come (unâ)arte; e quali conseguenze âindebolentiâ possa avere la tesi poco
fondata che i
media device â
e i fenomeni che essi producono hanno, implicitamente o esplicitamente, una dimensione estetica. Hanno unâaffascinante relazione con le artiâ. Quanto è rilevante che Morse fosse un pittore semi-dilettante? Possono alcune biografie, pur notevoli, sostanziare una dichiarazione come questa: â
I media sono la continuazione dellâarte con altri mezziâ?
Ciò châè forse piĂš impellente consiste nel riuscire a âmettere in prospettivaâ (questo aspetto de) la modernitĂ . Andrebbe ad esempio sottolineato come, nella seguente dichiarazione introduttiva dei curatori del volume, il riferimento temporale sia necessario ma non sufficiente per distinguere
questo artista: â
Allâinizio del XX secolo, allâapice dellâavanguardia modernista, gli artisti divennero inventori per ragioni pratiche. Per rispondere con le loro visioni estetiche allâimpatto della tecnologia sui sensi umani, avevano bisogno di un nuovo apparato che non era ancora disponibileâ.
Dâaltro canto, sorge unâaltra domanda leggendo lâinvito di Simon Penny a â
sviluppare un nuovo ramo dellâesteticaâ, lâ
aesthetics of behavior, al fine di riuscire a leggere correttamente alcune nuove tipologie di â
machine-artworkâ. E se invece occorresse restringere il concetto di opera dâarte o, almeno, la categoria di cui si occupa lâestetica?