Rosalind Krauss è un’intellettuale che non ha bisogno di presentazioni, poiché ha impresso una svolta basilare alla critica d’arte. Sulle pagine del quadrimestrale October, fondato insieme ad Annette Michelson, ha limitato l’autoreferenzialità della disciplina, mettendola a confronto con i cultural studies di ascendenza francese. In Italia sono uscite alcune traduzioni di suoi testi per i tipi di Bruno Mondadori: L’informe (con Yves-Alain Bois, 2003), Passaggi (1998) e Teoria e storia della fotografia (1996). Celibi, risalente al 1999, è un contributo importante per la cultura artistica della nostra penisola, ma purtroppo non ha goduto di un accurato lavoro di traduzione ed editing. Non è tanto questione di singoli passaggi, ma in generale di poca scorrevolezza della lingua, che se in parte può essere imputata allo stile di Krauss, non è certo stata agevolata dal lavoro redazionale.
Aldilà di ciò, il volume ha scatenato una piccola polemica sugli inserti culturali de “Il Sole 24 ore” e “La Stampa”. Angela Vettese ha parlato di critica “in salsa francese”, non gradendo gli strumenti ermeneutici che Krauss mutua da Lacan e Bataille, per fare solo due nomi. Marco Belpoliti ha risposto con garbo ma nettezza, chiudendo in questo modo il suo articolo: “Le vera questione è poi quella di leggere a 360° la realtà senza pensare che filosofia e arte abitino in palazzi diversi […] Le letture più interessanti dell’arte sono venute da coloro che hanno osato qualcosa più del richiesto e soprattutto del dovuto”.
Un paese, il nostro, dove non si vuol capire -per ragioni esclusivamente monetarie- che critica e curatela sono ruoli differenti e spesso conciliabili solo coprendosi gli occhi davanti alla più evidente deontologia professionale; dove proprio per questa ragione i nomi che circolano sono assai pochi e quelli sommersi, composti da stuoli di ghost writer e “assistenti”, sono in esponenziale crescita. In una tale situazione, il livello medio della critica non può che essere risibile. E lo scritto di Vettese, intellettuale che, va detto, esula da tale scenario, è tuttavia un sintomo al quale occorre guardare con attenzione. Perché in fondo il libro di Rosalind Krauss è certo criticabile per alcune questioni specifiche, per esempio l’interpretazione del seminario di Lacan incentrato sull’objet à, ma i saggi dedicati a Claude Cahun e Dora Maar, Louise Bourgeois, Agnes Martin, Eva Hesse, Cindy Sherman, Francesca Woodman, Sherry Levine e Louise Lawler sono senza dubbio illuminanti. Come scrive la stessa Krauss, è sufficiente “sollevare il coperchio” (p. 111) e non consumare bulimicamente i miti, come direbbe Roland Barthes. Certo, il testo non è di agile lettura, e per comprenderlo bisogna (ri)leggere qualche autore, magari fare un salto in libreria o in biblioteca. Addirittura ci si dovrà soffermare su qualche frase. Dalle nostre parti si ha ancora l’abitudine a questo genere di cose?
marco enrico giacomelli
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aggiornamento: un breve testo della krauss, in versione italiana, uscirà a maggio per postmedia books di milano. si tratta di "L'arte nell'era postmediale. Marcel Broodthaers, ad esempio"
ulteriore aggiornamento bibliografico: per i tipi di Bruno Mondadori è uscito di Roslaind Krauss, "Reinventare il medium. Cinque saggi sull'arte d'oggi", curato da Elio Grazioli