Ci si commuove al cinema, a teatro, leggendo un libro oppure ascoltando l’aria di un’opera o il tema di una canzone. Ma piangere di fronte a un quadro? L’indagine di James Elkins parte da questa domanda, con appelli su giornali e riviste, alla ricerca di persone disposte a raccontare le loro commozioni di fronte a un dipinto.
Sulla base delle oltre 400 risposte raccolte, tra cui si annovera quella di uno scettico Gombrich, si scopre che la storia dell’arte è attraversata da un fiume di lacrime, che sebbene abbia un suo corso carsico, per lo più nascosto alla vista, ispira le reazioni di spettatori diversi per cultura ed estrazione sociale, di fronte a opere che vanno dalla
Nike di Samotracia agli
Andachtsbilder medievali, da
Caravaggio a
Friedrich, e soprattutto a
Mark Rothko, la cui cappella di Houston è una sorta di cattedrale delle lacrime sulla pittura del XX secolo.
Dipinti e lacrime non costruisce una teoria sul pianto, ma preferisce arrestarsi di fronte all’incomprensione degli stessi spettatori commossi, delineando un racconto delle lacrime sulla pittura e della loro scomparsa. Prima del Rinascimento, le risposte emotive alla visione dei dipinti non erano soltanto all’ordine del giorno, e in seguito nel tardo Settecento venivano addirittura ritenute fondamentali per valutare la qualità di un quadro. Con il XX secolo, la commozione diventa una risposta ingenua e inadeguata a uno stimolo essenzialmente intellettuale.
Il saggio procede pertanto cautamente, consapevole di muoversi sul terreno insidioso di un sentimentalismo per lo più esecrato dagli studiosi. Ma per Elkins, al contrario, è proprio questo improvviso distacco e disinteresse a dar senso alla sua ricerca. Anche perché le lacrime sono gli unici testimoni che abbiamo delle forti reazioni che agitano gli spettatori di fronte alle opere d’arte.
In questa rassegna alla riscoperta delle lacrime, s’individuano tre principali aree tematiche su cui insistono le motivazioni date da chi s’è commosso: un senso sfasato del tempo, l’“astanza” del dipinto, ovvero la sua capacità di esserci pienamente invadendo all’improvviso tutto il campo esperienziale, e all’opposto l’assenza, il sentimento di un’irrimediabile mancanza, il vuoto dipinto. Aree che hanno in comune uno stesso terreno, come Elkins spiega quasi con circospezione: hanno a che fare con il grande rimosso del Novecento, ovvero la dimensione spirituale e religiosa dell’arte contemporanea, come lascia intendere, tra l’altro, una citazione da Rothko: “
Quelli che piangono di fronte ai miei quadri, fanno la stessa esperienza religiosa che ho fatto io mentre li dipingevo”.
Si tratta di epifanie che avvengono all’improvviso, quando gli spettatori smettono l’armatura intellettuale che li riveste e si lasciano trasportare da ciò che hanno di fronte agli occhi. Un coinvolgimento ormai raro e che rimane un mistero. Elkins, infatti, piuttosto che filosofeggiarne modi e possibilità, preferisce concludere con alcuni consigli pratici per guardare i dipinti in modo diverso. Ed esserne magari commossi.
Visualizza commenti
Il cuore degli uomini si è ghiacciato.
Troppa tv,videogames,fotografia sugli orrori della realtà.
Non c'è più compassione perchè ci si è assuefatti alla tragedia e alla violenza.
Per fotuna qualcuno con l'anima del poeta esiste,sono le persone troppo sensibili per esporsi,loro piangono in silenzio.
Saluti col cuore.
Stefania Dal Molin