Sette come i peccati
capitali sono i
capitoli di questo libro. Sette tappe attraverso cui Teresa Macrì individua le multiformi facce del contemporaneo, per raccontarlo con uno sguardo penetrante ma privo di rigide categorizzazioni. Se di primo acchito titoli e sottotitoli appaiono ammalianti quanto sfacciatamente capricciosi, durante la lettura si scoprono invece azzeccati e irriverenti al punto giusto. Non lasciando presagire il contenuto, conservano in seguito il sapore di una conquista.
Come suggerito dal gioco di parole del titolo,
In the Mood for Show (da
In the Mood for Love, film di
Wong Kar-Wai) è un libro idiosincratico, in cui la passione per il cinema – un’intensa analisi di
Marie Antoinette di
Sofia Coppola apre il primo capitolo,
Rockocò -, per l’arte, la musica e l’espressività in ogni sua forma dialogica s’intrecciano, senza bisogno di strutture preimpostate che guidino la riflessione.
Un
Damien Hirst implacabile e totalizzante si presenta all’interno del panorama
Young & post British Artist, rivelando le trame più complesse della sua arte spettacolare, che fa dello
Shocking (titolo del secondo capitolo) la sua formula di espressione preferita. Penetrando attraverso le paure e i dogmi tipici della contemporaneità, li rende evidenti e li neutralizza, riplasmandoli anche all’interno degli oggetti più banali.
La dimensione spettacolare è spiegata come conseguenza inevitabile della società iper-informatizzata e tecnologizzata, in cui la pluralità degli input produce l’enfatizzazione della risposta. Il lavoro di
Maurizio Cattelan ne diventa caso esemplare: portavoce di una rottura all’interno dello statico sistema dell’arte italiano a fine anni ‘80-inizi ‘90, impiega una strategia di attacco a sorpresa, che stupisce ma non terrorizza, diverte e fa riflettere. Nelle opere di
Douglas Gordon viene invece individuato il paradigma psicotico: ponendo in
re-enactement e
détournament il materiale preesistente, lo svuota e lo re-interpreta secondo una pratica decostruzionista e disseminatrice di senso.
Con
Phil Collins si evidenzia la facilità d’intromissione della fiction nel mondo, secondo un principio di cannibalizzazione della realtà da parte della società dello spettacolo.
Chris Cunningham ci conduce all’interno della
clip-culture, ovvero nell’attitudine a fruire i brani musicali attraverso canali tematici, in cui l’artista utilizza uno sfasamento visivo e narrativo continuo.
Nell’ultimo capitolo,
Dirty, si analizza infine il concetto di trasgressione estetica e di abiezione: assenza d’intreccio classico, pretesa di autenticità, cornice deviante, andamento sincopato, digressivo e frammentario s’individuano nel lavoro di
Harmony Korine e
Mike Kelley.
Una scrittura puntuale, dai toni talvolta ambiziosi e incantatori, costruisce un testo nutrito da riferimenti, similitudini e citazioni presi in prestito da filosofi, critici e studiosi tra i più autorevoli. La capacità d’analisi e di messa in relazione di campi del sapere diversi rende la lettura scorrevole e appassionante. Fuori da ogni schema manualistico, l’autrice fa intendere senza spiegare, lascia percepire senza pretendere inscatolamenti inutili. Offre la propria visione e la propria sapiente di connessioni per innescare un motore di riflessioni al di fuori di dinamiche crudamente consequenziali. Apre una porta senza dichiarare se essa conduca verso l’unica via praticabile, ma facendo intendere che sia una delle mille possibilità in questi nostri tempi ancora vagamente definibili.
Un libro che indaga la dimensione spettacolare della nostra società e ne individua all’interno l’immagine contemporanea, un “
rizoma espanso”, “
un universo cognitivo molteplice” in cui si dispiega un sistema di relazioni complesso.