Bruce Sterling (Brownsville, Texas, 1954) appartiene a quella categoria -molto ristretta- di scrittori che non si accontenta di proporre fiction di genere, ma cerca di comprendere la realtà contemporanea, e addirittura di prevederne gli sviluppi futuri, servendosi degli strumenti e degli elementi a disposizione di tutti. Come recita l’epigrafe del nuovo libro di Enzensberger, Il perdente radicale: “Non si è tenuti a capire tutto, ma tentar non nuoce”.
È esattamente quello che fa Sterling sin dagli inizi della sua attività, costellata di capolavori della fantascienza cyberpunk come La matrice spezzata (1985), La macchina della realtà (1990), scritto in collaborazione con William Gibson, e soprattutto Caos Usa (1998). Ai romanzi, negli anni l’autore ha affiancato la produzione saggistica di “anticipazione”, costruita soprattutto attraverso la collaborazione con la rivista Wired, recentemente conclusa con un articolo intitolato My Final Prediction, sullo sviluppo futuro di Internet. Se in Giro di vite contro gli hacker (1994) mescolava sapientemente narrativa e indagine sociologica sul cyberspazio, in Tomorrow Now (2002) analizzava in maniera più sistematica e ambiziosa i singoli aspetti sociali e più in generale quello che definisce il sapore del XXI secolo.
La forma del futuro parte proprio da L’amante, il secondo capitolo di Tomorrow Now dedicato agli sviluppi del design postindustriale, sviluppandone in maniera molto più sistematica e rigorosa i concetti-chiave e descrivendo le modalità contemporanee di dare forma alle cose, agli oggetti (il titolo originale del libro recita infatti Shaping Things). Centrale è la nozione del rapporto tra essere umano e oggetto, caratteristico di questo momento storico e sintetizzato tipicamente dai blobjects: tutti quegli affari vagamente biomorfi e fastidiosamente multifunzionali di cui siamo letteralmente circondati da qualche anno. Questi oggettini apparentemente innocui rappresentano in realtà la tecnocultura oggi dominante. A questa categoria di cose relativamente nuove, se ne aggiunge una ancora più all’avanguardia e inquietante: quella degli SPIME, nati approssimativamente nel 2004, con l’introduzione delle etichette RFId (Radio Frequency Identification) per le forniture militari da parte del Ministero della Difesa degli Stati Uniti. Bruce Sterling scommette che saremo abbastanza presto in grado di costruire agevolmente, in casa nostra, quella che lui
L’interscambio tra oggetto fisico e rappresentazione di quell’oggetto esce profondamente mutato da questo processo rivoluzionario. Il modello virtuale diventa l’originale, e l’oggetto regredisce a mera copia, “puro output industriale”. Lo SPIME rappresenta inoltre, secondo Sterling, la risposta perfetta a entrambe le necessità fondamentali della nostra società; almeno così come si sta configurando negli ultimi anni, vale a dire informazione e sostenibilità.
L’intero saggio si appoggia a una concezione integrale e radicale del tempo storico, unita a una grande attenzione per il contesto culturale e per le narrazioni che circondano l’avvento di ogni nuova forma oggettuale. All’interno di questo discorso, la relazione tra esseri umani e oggetti (l’hardware) si configura come una vera e propria partnership millenaria, iniziata in età preistorica, addirittura prima della parola, e destinata a divenire sempre più ricca e complessa con l’evolversi dell’età dell’informazione. In questo quadro, assume un ruolo importante persino il glamour dei designer, inteso come la forma al momento più completa ed efficiente di pubbliche relazioni: “Per creare avanzamento e accettabilità bisogna catturare l’immaginazione pubblica”.
Uno dei notevoli pregi di questo libro è la proverbiale inventiva dell’autore per gli slogan efficaci (“l’obsolescenza è innovazione al contrario”). Ma l’aspetto centrale rimane la sua dimensione speculativa e visionaria. Il testo, non a caso, è frutto dell’esperienza di Sterling come primo visionary in residence presso l’Art Center College of Design di Pasadena. Straordinaria, soprattutto (ed eccentrica rispetto agli standard), è la sua capacità di intendere e comunicare il design non come una metodologia professionale isolata e iperspecializzata, ma come un elemento inserito nel quadro più ampio della grande trasformazione culturale della nostra epoca.
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ma che gli avete fatto a caliandro? minchia!