In arte è argomento quasi quotidiano di discussione l’opportunità o meno di accettare i prodotti sempre più ‘estremi’ dell’avanguardismo –se sincero o interessato è altra questione- esploso fra i Postmoderni dopo le ricerche già complesse delle neo-avanguardie. Si pongono come ‘reazionari’ al proposito sia la grande massa dell’avrei potuto farlo anch’io, sia alcuni artisti anch’essi avanguardisti (come Enrico Baj nel suo testo Discorso sull’orrore dell’arte scritto con Paul Virilio, edizioni Elèuthera, 2002).
“La questione dell’arte” del titolo di qeusto libro è l’ormai classica domanda: “Che cos’è l’arte?”, o meglio “Che cosa è arte e cosa no?”. Nigel Warburton, accademico di filosofia, cerca di indagare la questione (non di rispondervi, come si vedrà) con gli strumenti dell’epistemologia ma in maniera comprensibile anche per i non esperti di arte e neppure della stessa filosofia.
Egli compie una rassegna critica del pensiero filosofico sul tema nel corso del XX secolo, analizzandone sia la coerenza interna, sia la resistenza allo scorrere del tempo e dei costumi. Questo percorso è validamente supportato da esempi concreti di opere –illustrate nel testo- di Wallinger, Bacon, Tracey Emin, Damien Hirst, Cattelan e altri.
Clive Bell suggerì il criterio della “forma significante”: è arte ciò che, prodotto dall’uomo, è in grado di suscitare emozione estetica tramite la “combinazione di linee, forme e colori posti in certe relazioni tra loro”.
Per Robin G.Collingwood il punto era l’espressione di emozioni: l’arte possiede una “forma peculiare di espressione emotiva, […] chiarificazione di ciò che ha origine come sentimento vago”.
Altri filosofi propongono una concezione wittgensteiniana secondo cui l’arte sfugge a ogni definizione : non può essere riconosciuta tramite denominatori comuni ma solo secondo “somiglianze di famiglia”, “uno schema di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda”. Decisamente più attuale, poichè tiene conto del sistema dell’arte contemporanea, la teoria istituzionale: un oggetto è arte o meno a seconda di come viene storicamente considerato e trattato.
Warburton propone anche la sua visione, senza però svilupparla; inoltre essa può difficilmente essere definita teoria. Egli suggerisce di porre la questione dell’arte rispetto a opere singole piuttosto che come problema generale: la “questione” non ha risposta, è meglio concentrarsi sui singoli lavori. Tale proposta non tiene però conto della probabilità che ognuno abbia un’opinione personale differente sull’’artisticità’ di ciascun’opera, ricadendo così in uno dei problemi a causa dei quali la “questione dell’arte” viene posta.
Una proposta sicuramente applicabile sarebbe quella di guardare all’intento dell’artista: chi crea qualcosa con ‘intenzioni artistiche’ produce arte. D’altronde trascurare l’importanza dell’arte per l’artenegli ultimi decenni sarebbe come voler remare controcorrente in un fiume in piena (di proposte artistiche).
stefano castelli
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Visualizza commenti
Sinceramente pensare e scrivere che sia sufficiente creare qualcosa con ‘intenzioni artistiche’ per produrre arte, mi sembra a dir poco ingenuo, se non ridicolo. Tutti, in fondo in fondo, ci sentiamo artisti ergo tutti lo siamo? Allora tutto è arte e niente è arte.