L’accecamento è l’ottundimento della vista che consegue alla possibilità tecnologicamente garantita di proiettare lo sguardo al di là della linea dell’orizzonte. L’occhio si perde e si disorienta perché l’esorbitante potenza dei dispositivi tecnologici, tra i quali Virilio annovera non solo e non tanto quelli tele-scopici, ma soprattutto le webcam che forniscono una copertura in diretta del campo percettivo, rovescia ogni prospettiva, fa deflagrare le apparenze, rende incapaci di vedere e di conoscere ciò che ci è più vicino.
Nelle prime pagine del saggio compare una citazione del filosofo Merleau-Ponty: “
Obbedire a occhi chiusi è l’inizio del panico”. Il panico delle coscienze, che caratterizza per Virilio la situazione emotiva propria del regime di sovraesposizione mediatica, è la fatale
distrazione che trattiene nell’attesa dell’inatteso; un’attesa paradossale, sospesa tra l’ansia e il desiderio, in cui però “
ciò che soprattutto non si cerca è di vedere”. Individualismo di massa e omologazione, sincronizzazione delle coscienze e “
comunismo dell’emozione pubblica”: questi solo alcuni dei pregnanti sintagmi che l’autore conia per definire le conseguenze sociali e politiche dell’attuale “
inversione della pulsione scopica”, secondo la quale non interessa più
vedere, ma solo
essere visti, della catastrofe dell’intersoggettività dello sguardo.
Sono incalzanti le analisi di Virilio, stringate le diagnosi, difficilmente non etichettabili come “apocalittiche” purché, come più volte l’autore stesso ha precisato, si faccia risuonare nel termine “apocalisse” l’appello a un senso profondo del tragico e non a uno sterile pessimismo.
Quale ruolo spetta dunque all’arte?
Per rispondere a questa domanda, occorre prima chiedersi: quale arte prolifera in un regime dell’accecamento? Una “
estetica della sparizione”, progressivamente sostituitasi a quella dell’“
apparizione oggettiva”, definisce le linee direttive dell’arte contemporanea. Virilio ce ne mostra intanto gli effetti da un punto di vista architettonico, nella tendenza a costruire a perdita d’occhio e ad alleggerire la consistenza materiale dell’opera; ma una simile aspirazione alla
smaterializzazione accomuna in generale tutte le arti.
L’arte dell’accecamento è un’arte dell’
incidente in tempo reale. Soprattutto, è un’arte dell’amnesia, il sintomo endemico di una cultura senza memoria e di una memoria, individuale e collettiva, divenuta a circuito chiuso, saturata dal profluvio di immagini mediatiche che costituiscono l’archivio delle esperienze vissute catalogabili, omologabili, interscambiabili.
La questione dell’arte allora si presenta di nuovo e più perentoriamente come una questione politica. Ad essa spetta il compito di opporre
resistenza, dice Virilio nelle ultime, forse un po’ elusive battute del saggio, resistenza alla smaterializzazione, alla crisi del principio di rappresentazione, che al tempo stesso investe le arti e minaccia la sopravvivenza delle democrazie parlamentari, e alla traduzione progressiva del
senso comune, per dirla con Kant, in
emozione pubblica gestita e orientata dall’operato degli specialisti della comunicazione mediatica.
In conclusione, risuona dunque l’appello a un’“
arte-materia” capace di restare e di resistere alle politiche della velocità del regime audio-visivo, che amministra il ritmo di produzione e consumo della nostra cultura e stravolge la nostra percezione dello spazio e del tempo.