Da qualche anno lo squalo più celebre e chiacchierato non
è più quello del film di
Steven Spielberg, bensì quello molto meno terrificante e pericoloso
della star dell’arte contemporanea
Damien Hirst. È verde, grinzoso ma soprattutto
costa 12 milioni di dollari. Perché pagare una cifra così esorbitante per una
carcassa di squalo tigre in elevato stadio di decomposizione? All’epoca della
transazione, infatti, il terrore dei mari somigliava piuttosto alla madre
imbalsamata di Norman Bates in un celebre film di
Hitchcock.
Donald Thompson, economista e collezionista d’arte
contemporanea, non fatica molto nel suo libro a trovare una convincente
risposta: lo squalo è un prodotto di brand. Damien Hirst è un brand, proprio
come lo sono Charles Saatchi (proprietario dell’opera all’epoca della vendita)
e Larry Gagosian (il gallerista che si occupò della transazione). Per questo
non fu difficile a Steve Cohen (l’acquirente miliardario) pagare una simile
cifra per lo squalo in formalina.
“
Oggi nel mondo dell’arte contemporanea il branding può
facilmente sostituire il giudizio critico”, dice a chiare lettere Thompson. Quello che si
vende è in realtà status sociale in forma d’arte e il prezzo delle opere
diventa il segnale della reputazione di cui gode l’artista, dello status del
gallerista e del potenziale compratore.
Fra aneddoti e vere e proprie teorie economiche, il volume
diventa una tagliente analisi che svela senza mezzi termini i segreti del
mercato dell’arte. Dal dominio oligarchico delle case d’asta alle doti di
marketing degli artisti di successo, passando per il circo errante delle fiere
internazionali, fino ad arrivare ai musei che diventano sedi in franchising (è
il caso recente del marchio Louvre, esportato nella città araba di Abu Dhabi).
Thompson sembra non risparmiare nessuno, dedicando a
ognuno degli attori che si muovono sul palcoscenico dell’arte contemporanea un
ampio capitolo, ricco di retroscena e avvincenti avventure (e transazioni
monetarie). E per il finale di partita, tutto ancora da scrivere, l’autore
prospetta un duello all’ultimo sangue tra case d’aste e galleristi per il
dominio del settore. Per adesso, infatti, nonostante la recessione economica
mondiale, l’arte contemporanea non sembra essere toccata dalla crisi. Il numero
dei collezionisti è in continua crescita e così quello dei miliardari.
I prezzi dell’arte sono alimentati da ciò che in termini
economici si definisce
effetto reversibilità: funziona come la ruota dentata,
che gira solo in un senso e si blocca nella posizione raggiunta. I prezzi
reversibili non possono scendere ma solo salire verso l’alto. Le quotazioni
folli delle opere d’arte sono quindi in perpetua crescita, secondo questa
teoria.
Oggi il denaro complica e influenza tutto e tutti, e
persino la storia dell’arte si può riscrivere con un libretto degli assegni. E
allora, con una frase celebre di
Andy Warhol, verrebbe da consigliare ai
collezionisti: “
Diciamo che hai intenzione di comprare un quadro da 200.000
dollari. Il mio consiglio è di prendere quelle banconote, legarle insieme e
appenderle direttamente alla parete, così quando qualcuno viene a farti visita
la prima cosa che vede sono le banconote appese alla parete”.