Tutto cominciò nel 1912, quando Pietro Toesca squarciò per la prima volta il velo d’ombra che avvolgeva l’arte figurativa lombarda del periodo visconteo. Fino ad allora, l’universo artistico di quell’epoca era stato visto in mero collegamento con lo stile gotico internazionale e con l’arte cortese in voga soprattutto in Francia, nazione con cui lo Stato milanese intratteneva stretti e proficui rapporti. Toesca sottolineò le peculiarità della tradizione figurativa lombarda, ponendo l’accento sulla sua propensione all’“umile realismo”. Fu una svolta critica, che conobbe il suo coronamento nel ‘58 con la mostra, curata da Roberto Longhi a Palazzo Reale, dedicata a L’arte lombarda dai Visconti agli Sforza.
Da allora, molti studiosi hanno illuminato i molteplici aspetti dell’arte che fiorì in Lombardia tra il 1288 e il 1447, estremi cronologici del dominio visconteo. Centro propulsore fu ovviamente Milano, i cui vizi e le cui virtù furono immortalate a tinte vivaci da Bonvesin de la Riva. Il punto e una buona sintesi su questi studi è offerta da Lombardia gotica e tardogotica. Arte e architettura, volume curato da Marco Rossi. Una miscellanea che spazia dagli anni milanesi di Francesco Petrarca alle pitture del castello visconteo di Pavia, dall’architettura degli ordini mendicanti ai libri commissionati dai Visconti, dalle oreficerie ai bestiari, dai maestri campionesi ai Tacuina Sanitatis.
Fondamentali sono i contributi di sintesi, soprattutto quello di Giancarlo Andenna, che parla del Trecento lombardo come di un secolo “creativo e sfortunato”, da sempre associato dalla storiografia alla crisi economica e agricola che ebbe il suo Höhepunkt nelle pestilenze del 1348 (Milano e altre città furono risparmiate) e del 1361-63 (che invece le colpì duramente), ma caratterizzato nel contempo da un forte desiderio del “nuovo”. E in effetti, il Trecento fu secolo decisivo per l’arte lombarda, che elaborò progressivamente una concezione della pittura dai toni realisti e naturalisti.
Tra i principali testimoni di questa tendenza, come ben evidenzia Florence Moly, le miniature dei codici lombardi del Tacuinum Sanitatis, il celebre testo medico di origine araba, prodotte tra Milano e Pavia. Non manca poi la minuziosa disamina di quelli che possono essere considerati i “classici” dell’epoca, i Libri d’Ore commissionati dai Visconti (Gian Galeazzo e Filippo Maria in testa) ai più noti miniaturisti dell’epoca: Giovanni di Benedetto da Como, Michelino da Besozzo, Belbello da Pavia e altri ignoti quanto eccellenti maestri.
Di particolare interesse risulta il contributo di Francesca Flores D’Arcais su Giotto a Milano che, malgrado la penuria di testimonianze, cerca di ricostruire l’operato del grande artista alla corte di Azzone Visconti, dove con ogni probabilità fu chiamato per lavorare nella sua nuova reggia. La ricca dimora fu purtroppo distrutta poco dopo la morte di Azzone, e con essa le eventuali testimonianze autografe del maestro. Giotto tuttavia lasciò un’impronta indelebile nel linguaggio pittorico lombardo, come si evince dalla mutila Crocifissione conservata nella chiesa di San Gottardo in Corte, ma anche da quel che resta degli affreschi delle chiese di Santa Maria di Brera e di Viboldone, che per l’uso morbido del colore e l’immediatezza dei volti e dei gesti, ma anche per l’imponenza dei volumi, denotano una profonda influenza giottesca.
Forte di quasi 250 fotografie (la gran parte delle quali a colori, spesso a tutta pagina), il volume offre un panorama abbastanza completo e senz’altro aggiornato dell’arte lombarda fra Tre e Quattrocento, ma non trascura di fornire utili spunti per possibili ricerche future. Unica pecca, la mancanza di una bibliografia finale ragionata, limitandosi i riferimenti alle note in coda a ciascun contributo.
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Libro meraviglioso che aggiorna, proponendo nuove interessanti attribuzioni, criticamente le questioni degli sviluppi dell'arte tardogotica in Lombardia, epoca in cui ha forse semso parlare di "arte lombarda", topos critico troppo spesso poco significativamente utilizzato.
Particolarmente interessante è il contributo di Monja Faraoni suulla possibile attività della bottega del Maestro del Libro d'Ore di Modena in una cappella della chiesa di san Francesco in Lodi. Apparato iconografico molto ben studiato.