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04
febbraio 2008
libri_saggi MediaArtHistories (mit 2007)
Libri ed editoria
Un tomo voluminoso. Al fine di scrivere le storie della “new media art”. Con nomi di spicco e un editore altrettanto blasonato. A farne le spese, la storia. Al singolare...
Diciamolo subito, onde evitare fraintendimenti: MediaArtHistories è un ottimo libro. Gli argomenti affrontati sono di attualità, l’approccio interdisciplinare è stimolante, il parterre di autori impeccabile (i saggi sono firmati da alcuni dei migliori studiosi di new media art del mondo) e le prospettive di ricerca a tratti molto originali. E davvero non avremmo avuto nulla (o quasi) da appuntare, se non avessimo letto con attenzione l’introduzione, scritta dal curatore della raccolta -Oliver Grau, docente di Scienza dell’Immagine presso l’Università di Krems, in Austria- e, prima ancora, le schede promozionali del libro.
Il volume viene infatti presentato come il primo tentativo di “discutere la storia dell’arte mediale all’interno dei contesti interdisciplinari e interculturali delle storie dell’arte”. La lacuna che ci si ripromette di colmare (“To change this is our goal!”, scrive Grau con tono da manifesto) scaturisce da una lamentela già sentita, che si ripete ormai come un sermone in ogni convegno o manifestazione dedicata alle arti tecnologiche. La new media art è una parte rilevante della sperimentazione artistica contemporanea (con eccessiva enfasi retorica, Grau le assegna il ruolo di “arte dei nostri tempi”), ma fatica a essere accettata dalle istituzioni, raramente viene collezionata e non sempre riesce a guadagnarsi uno spazio all’interno degli insegnamenti accademici.
Il compito di questo volume, dunque, che pretende così di differenziarsi dai numerosi contributi editi finora (la maggior parte dei quali pubblicati dalla stessa Mit Press), consisterebbe nel reinserire la new media art nel contesto più generale della storia dell’arte. Abbattendo così le mura del ghetto in cui spesso queste sperimentazioni sono rimaste relegate e costringendo gli storici, gli studenti e la società tutta a prendere coscienza dell’importanza del rapporto fra arte, scienza e tecnologia. E, aspetto ancor più importante, a evitare il rischio che la memoria di molte esperienze creative in questo campo vada persa per sempre.
L’intento è lodevole e la lacuna reale (Edward A. Shanken fa notare, esempio degli esempi, la totale assenza di cenni al rapporto fra arte e tecnologia in Arte dal 1900, della premiata ditta Krauss-Bois-Buchloh). Purtroppo però l’obiettivo risulta mancato. Il libro non si sforza di ricontestualizzare la new media art nel più ampio panorama dell’arte contemporanea; non confronta le opere tecnologiche con altre sperimentazioni coeve (con l’unica eccezione di un accostamento tra la software art, l’arte concettuale e quella astratta, teoria però già nota e ampiamente condivisa); non offre al lettore la possibilità di approfondire personalità purtroppo ancora misconosciute.
I ventuno saggi sono tutti, senza eccezioni, analisi critiche di altissimo profilo, che intrecciano punti di vista interdisciplinari con lodevole scioltezza, e in qualche caso possono risultare persino illuminanti (vedi il parallelo costruito da Dieter Daniels tra la macchina celibe di Marcel Duchamp e la macchina universale di Alan Turing; o, ancora, l’analisi “tattilista” di Erkki Huthamo). Ma si tratta di visioni al microscopio, di prospettive ultraspecializzate, di analisi intente a sviscerare lo specifico delle arti tecnologiche (tra l’altro, qualche analisi di tipo estetico in mezzo a tanta sociologia, storia della tecnologia e scienza dell’immagine non avrebbe guastato).
Intendiamoci: abbiamo ancora bisogno di libri come questo, ma se veramente si vuole che la new media art si guadagni un posto nella storia dell’arte, bisogna che qualcuno questa storia (al singolare, stavolta) cominci a scriverla.
Il volume viene infatti presentato come il primo tentativo di “discutere la storia dell’arte mediale all’interno dei contesti interdisciplinari e interculturali delle storie dell’arte”. La lacuna che ci si ripromette di colmare (“To change this is our goal!”, scrive Grau con tono da manifesto) scaturisce da una lamentela già sentita, che si ripete ormai come un sermone in ogni convegno o manifestazione dedicata alle arti tecnologiche. La new media art è una parte rilevante della sperimentazione artistica contemporanea (con eccessiva enfasi retorica, Grau le assegna il ruolo di “arte dei nostri tempi”), ma fatica a essere accettata dalle istituzioni, raramente viene collezionata e non sempre riesce a guadagnarsi uno spazio all’interno degli insegnamenti accademici.
Il compito di questo volume, dunque, che pretende così di differenziarsi dai numerosi contributi editi finora (la maggior parte dei quali pubblicati dalla stessa Mit Press), consisterebbe nel reinserire la new media art nel contesto più generale della storia dell’arte. Abbattendo così le mura del ghetto in cui spesso queste sperimentazioni sono rimaste relegate e costringendo gli storici, gli studenti e la società tutta a prendere coscienza dell’importanza del rapporto fra arte, scienza e tecnologia. E, aspetto ancor più importante, a evitare il rischio che la memoria di molte esperienze creative in questo campo vada persa per sempre.
L’intento è lodevole e la lacuna reale (Edward A. Shanken fa notare, esempio degli esempi, la totale assenza di cenni al rapporto fra arte e tecnologia in Arte dal 1900, della premiata ditta Krauss-Bois-Buchloh). Purtroppo però l’obiettivo risulta mancato. Il libro non si sforza di ricontestualizzare la new media art nel più ampio panorama dell’arte contemporanea; non confronta le opere tecnologiche con altre sperimentazioni coeve (con l’unica eccezione di un accostamento tra la software art, l’arte concettuale e quella astratta, teoria però già nota e ampiamente condivisa); non offre al lettore la possibilità di approfondire personalità purtroppo ancora misconosciute.
I ventuno saggi sono tutti, senza eccezioni, analisi critiche di altissimo profilo, che intrecciano punti di vista interdisciplinari con lodevole scioltezza, e in qualche caso possono risultare persino illuminanti (vedi il parallelo costruito da Dieter Daniels tra la macchina celibe di Marcel Duchamp e la macchina universale di Alan Turing; o, ancora, l’analisi “tattilista” di Erkki Huthamo). Ma si tratta di visioni al microscopio, di prospettive ultraspecializzate, di analisi intente a sviscerare lo specifico delle arti tecnologiche (tra l’altro, qualche analisi di tipo estetico in mezzo a tanta sociologia, storia della tecnologia e scienza dell’immagine non avrebbe guastato).
Intendiamoci: abbiamo ancora bisogno di libri come questo, ma se veramente si vuole che la new media art si guadagni un posto nella storia dell’arte, bisogna che qualcuno questa storia (al singolare, stavolta) cominci a scriverla.
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Il resoconto del convegno napoletano Fastforward on New Media Art
valentina tanni
la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 47. Te l’eri perso? Abbonati!
Oliver Grau (ed.) – MediaArtHistories
Mit, Cambridge (Mass.) 2007
Pagg. 487, $ 40 (cloth)
ISBN 9780262072793
Info: mitpress.mit.edu
[exibart]
Valentina, scrivila tu una storia dell’arte mediale ben contestualizzata nel panorama storico artistico ed estetico contemporaneo.
Credo che tu abbia tutte le carte in regola ed un libro cosi’ ha bisogno di essere pubblicato.