Cinque artisti si raccontano. Nati ad alcuni anni di distanza l’uno dall’altro, non collocabili in una corrente né appartenenti a particolari scuole di pensiero. Ma accomunati dalla loro posizione autonoma rispetto al sistema dell’arte. Questo libro è la negazione dell’arte come generico “evento culturale”. Cinque autobiografie per dire, anche, cosa sia l’esperienza artistica basata su una tensione etica e spirituale. E sulla ricerca nei suoi esiti scientifici e sociali.
Come nel lavoro di
Anna Valeria Borsari, co-autrice e prima ispiratrice del libro. Erano gli anni di “Flash Art” e “Data”, Arte Povera e Arte Concettuale, quest’ultima nascosta in nuove e selezionate gallerie. Mentre il potere condizionante delle tendenze e l’estrusione dei valori culturali dal sistema erano lì per farsi sentire. Arte visiva come “
creatività di confine” e “
neoiconoclastia”: un’attitudine che, nella testimonianza di
Gianfranco Baruchello, assume a tratti i toni della riflessione introspettiva sul sé come artista.
“
Cosa significa per te essere artista?” era una domanda dell’inchiesta video realizzata a metà degli anni ‘90 da
Marco Vaglieri, che racconta di una formazione artistica sulla strada, con i cinema, le gallerie, il gruppo di via Lazzaro Palazzi. A proposito degli effetti dell’
industria culturale: la strategia economica dovrebbe essere una conseguenza indiretta del processo artistico. Non basta il talento: il valore di un’opera d’arte si rileva anche dall’azione che essa esercita sul mondo. L’artista dev’essere un rivoluzionario. I criteri paradigmatici oggi adottati per attestare il valore di un’opera d’arte -novità e originalità- domani potranno essere altri. Fattori poetici, forse. O intrinsecamente connessi a criteri di funzionalità in ambiti differenti. Come avviene oggi in talune forme dell’esperienza artistica votate al confronto interdisciplinare.
Scrive
Emilio Fantin: “
È possibile, in ogni caso, avere la percezione di un ‘artista universale’ che non sia identificabile esattamente con un individuo? È possibile pensare a un’artisticità generica, diffusa e frammentata ma sempre presente?”. Alcune declinazioni dei suoi
Strappi generavano il paradosso dell’autore: a chi attribuire l’opera? Precarietà del ruolo unico dell’artista cui
Franco Vaccari diede forma con le sue
Esposizioni in tempo reale, in primis la cabina Photomatic con scritta plurilingue
Lascia una traccia fotografica del tuo passaggio nella sala della Biennale del 1972. Roland Barthes ce l’insegna: quando la concludi, l’opera non è più tua (ma Vaccari dovette difendersi con il copyright per disciplinare la pubblicità della Photomatic diffusa in seguito dall’azienda produttrice).