Parigi, 36 di rue des Morillons, XV arrondissement. Il viaggio di Giovanni Iovane e Filipa Ramos parte proprio da qui, dal celebre
Bureau des objets trouvés, il più grande magazzino d’Europa, con circa 7mila oggetti smarriti, impressionante e pittoresco museo della sbadataggine.
Un luogo che diviene metafora della crisi della memoria nella cultura e nell’arte contemporanea, e da cui si ramifica l’immaginaria flânerie letteraria dei due autori, frammentata come un mosaico ma ben consolidata da un ricco apparato di note e indagini filosofiche.
E se l’erranza è la condizione dell’uomo moderno, il volume si adegua perfettamente a questa disposizione, traslando sulla pagina bianca il peregrinare instancabile alla ricerca della nostra memoria. Passando dalle commedie di Woody Allen alle trovate di
Felix Gonzales-Torres, fino ad arrivare alla proustiana memoria involontaria della
Recherche, il percorso testimonia come l’oblio sia la condizione naturale degli spazi che occupiamo come degli oggetti che adottiamo.
Libri, strumenti, carte d’identità, fotografie, denaro, souvenir, ogni oggetto ci apre strade o sentieri per creare storie, per formulare identità o immaginare racconti o modelli possibili.
Gli oggetti d’uso quotidiano, nella loro dimensione intima e privata (o abbandonata) sembrano essere la fantasmagoria del Novecento. Gli stessi artisti usano oggetti e immagini per dar vita a mosaici di complessa e surreale bellezza, rinunciando però spesso a un racconto compiuto.
È quello che avviene per esempio nella grande opera di
Gerhard Richter,
Atlas, work in progress iniziato nel 1962 che raccoglie pannelli di fotografie personali e tratte da riviste e giornali, combinandole in maniera apparentemente casuale. Alla base vi è la tecnica artistica del collage, nata con le avanguardie storiche e con la quale gli oggetti perdono progressivamente origine, funzione, intenzione e quindi memoria per poi arrivare alla poetica dell’object trouvé.
Le immagini non si preoccupano più di fornire indizi per una loro interpretazione, sfuggono alla catalogazione, dando vita a
pastiche di generi e situazioni. Così l’uomo moderno è costretto a muoversi come un detective o un archeologo, alla costante ricerca di una traccia per interpretare i geroglifici del nostro presente. Il concetto di archivio che aveva ispirato lo sforzo ordinatore di Aby Warburg nel progetto dell’atlante di
Mnemosyne è crollato inesorabilmente, e su quelle macerie sono state edificate le basi dell’era digitale.
La nostra memoria quotidiana oggi è fatta di memory card e connessioni virtuali. Con la modernità abbiamo infatti irrimediabilmente perduto (o semplicemente smarrito) l’idea di memoria lineare che era già dei greci. Chissà che non si possa trovare anch’essa al Bureau parigino.