Di nuovo un libro sull’hegeliana “morte dell’arte” o sulla fine della sua storia (Hans Belting)? Non proprio. In questo breve, ma denso saggio, nel quale Raffaele Gavarro raccoglie il precipitato delle riflessioni teoriche che hanno accompagnato negli anni la sua professione di critico d’arte e curatore, si attesta il generale “
superamento della condizione estetica dell’arte”, si documenta cioè l’ormai avvenuta uscita dell’arte contemporanea dal regime estetico che per secoli ne ha costituito l’orizzonte di riferimento.
La tesi della frattura radicale tra arte ed estetica, enunciata con estrema chiarezza e articolata con dovizia di riferimenti, non si presenta certo come inedita. E tuttavia, le scelte, le strategie, i metodi della pratica artistica degli ultimi decenni esorbitano in modo così eclatante dal riferimento alle categorie estetiche di bellezza, piacere e gusto da renderne improrogabili un ripensamento e un aggiornamento.
Una ricognizione del panorama artistico attuale, che l’autore intraprende dismettendo gli abiti del curatore e recuperando quelli del critico, implica in via preliminare una riflessione sulla “
forma attuale della modernità”. Con esplicito richiamo a Bauman (
Modernità liquida) e a Ulrich Beck (
La società del rischio), Gavarro individua nell’“istantaneità”, collasso della durata temporale nell’istante di un presente continuo, e nell’“individualizzazione”, processo complesso che definisce le dinamiche evolutive della nostra società, due aspetti connotanti l’epoca contemporanea, registrati in modo perspicuo dalle arti.
Basti pensare, fa notare l’autore, al venir meno di coerenza stilistica e continuità progettuale negli artisti, da un lato, e alla pratica del site specific o ai molteplici usi del video, dall’altra, per riconoscere in molta arte contemporanea quei caratteri di
fluidità, mutevolezza, rottura col passato, ripensato come repertorio di materiale a disposizione della
postproduzione, sintomatici della postmodernità.
Questo sconfinamento reciproco fra arte e tempo presente, arte e società, non è però senza conseguenze per l’estetica. Di fronte ai prodotti dell’arte contemporanea, il concetto kantiano di senso comune e la distinzione tra piacevole, bello e sublime hanno del tutto perso la loro efficacia interpretativa. Qualcosa dell’estetica sopravvive, ma solo come esibizione del suo svuotamento nella forma dell’estetizzazione diffusa (nella moda, nella pubblicità, ma in generale in tutto l’apparato mediatico che predispone il nostro “
piacere quotidiano” in funzione delle ragioni di mercato).
Attraverso questa ricognizione accurata della scena artistica contemporanea, Gavarro mostra insomma come l’arte debba “
saltar fuori dall’estetica”, se vuole riprogettare le condizioni della propria sensatezza nei termini di un’interazione produttiva e di una presa critica sul presente nel quale prolifera.
Resta tuttavia da chiedersi se all’impermeabilità oggi lampante dei fenomeni artistici rispetto alle categorie tradizionali dell’estetica moderna non si contrapponga già da tempo un processo di rielaborazione, tutto interno alla riflessione estetica, orientato alla comprensione degli sviluppi dell’arte e capace altresì di intervenire incisivamente sul nostro presente. Rinnovando l’esercizio di quella critica che Gavarro considera oggi, non a torto, infiacchita e depotenziata.
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Ma se non hai letto il libro cosa commenti?
hai sbagliato "notizie"? ti sta antipatica la critica in genere o Gavarro?
Leggi e poi ne riparliamo.
Premetto che il libro non l'ho ancora letto e quindi forse ho frainteso:
D'accordo per un superamento dell'estetica? risponderei : ni.
Certo in molti casi pregevoli si và oltre il bello e il gusto ma mi pare semplicistico ripetere la tiritera che ciò che si lega al "PIACERE" sarebbe SEMPRE consumismo e mercificazione;
se mi faccio una scopata quindi contribuisco allo sfruttamento degli operai in Cina e alla deforestazione nel Borneo?
Forse in certe mostre dottrinalmente anti -edonistiche c'è invece pure molto piacere: il piacere sado_ masochistico di un'attitudine psichica al risentimento: mi diverto a non far divertire gli altri perchè tutti devono rivivere il mio trauma:
leggendo tra le righe, Enwezor (ad es;) è illuminante in questo senso. E i pittori sono bravi solo se neri.
Altre obiezioni riguardo la fine di un progetto coerente in ALCUNI artisti; primo: non generalizzamo! Una rondine non fa primavera e una tendenza per quanto estesa non può
essere usata come una prognosi onnicomprensiva; secondo:
la debolezza della critica non stà tanto nella debolezza dell' armamentario teorico disponibile quanto nella propria vigliaccheria e collateralità al sistema dell'arte :ad esempio non si criticano gli artisti "importanti" che passano di palo in frasca e si ritiene Bonami un grande critico anche se lavora solo per ben identificabili gallerie, scrive banalità e fa battute sceme.
marco ma sei un mito
caro preconcetto a prescindere
sei pieno tu di preconcetti a prescindere, ti faccio l'elenco:
A) avrei sbagliato notizie (presupponi quindi arditamente che io avrei preso una pagina per un'altra)
B) mi starebbe antipatica la critica in genere (mentre io ho citato solo Enwezor, che non mi è affatto antipatico ma che trovo un pò frustrato e immagino che abbia anche i motivi suoi)
C)mi starebbe antipatico Gavarro (Che non conosco e non ho mai incontrato)
in compenso non entri in merito di quanto ho scritto
io mi leggerò volentieri Gavarro, anche se il suo incipit a mio avviso è già abbastanza indicativo, ma tu prova a leggerti
le fonti invece dei cloni e magari perderai meno tempo con lo strafritto
sono d'accordo con marco e quello che ha detto esula dal libro quindi si non c'è bisogno di averlo letto prima
è che concordo con quello che dici e in più lo dici con ironia! fantastico!
quando ci sposiamo?
Grazie Vale, ti amo
sono già felicemente sposato!
comunque ciao e auguri