Ogni
volta che la danno per spacciata, quella risorge più ringalluzzita di pria. È
l’arte, il cui epitaffio è stato scritto tante volte da poterci fare un tomo.
Ma è pure la tecnica artistica
par excellence, almeno dalle nostre occidentali parti: la pittura.
Dal
nostro piccolo ma poi non così provinciale osservatorio italiano, su tele e
pennelli s’è giocata buona parte della vicenda novecentesca. Iniziando dal
Futurismo, che a mare tutto voleva buttare, ma che saldamente restava
aggrappato a padre olio e madre tela. E vennero la Seconda guerra mondiale e il
dopoguerra, e quell’Arte Povera che di pittura non ne voleva sapere. E qualche
tempo dopo invece se ne volle riparlare – e con che
toni! – e venne la Transavaguardia. Così, tanto per
menzionare tre scuole, etichette,
accrochage nominali. E giungiamo al presente, anzi al futuro: il
sondaggio che potete leggere sulla “retrocover” di questo numero di
Exibart.onpaper chiedeva ai nostri lettori: “
quale
sarà il linguaggio degli Anni Dieci?”. La risposta? Ma che domande,
vince la pittura con quasi il 30% delle preferenze.
C’è
poi il discorso che riguarda il medium e il suo superamento; insomma, la
postmedialità o, come direbbe Rosalind Krauss, la necessità di
reinventare
il medium. E cosa ti fa l’editore
d’arte più importante al mondo? Beh, Phaidon ha dato vita a una collana che ha
esordito con un più timido – dal punto di vista del titolo –
Art & Today
(a firma di Eleanor
Heartney) per poi gettarsi a capofitto con
Sculpture Today (Judith Collins, disponibile anche
in versione italiana) e giungendo ora a
Painting Today (2010)
.L’obiettivo,
come di consueto per la casa editrice London-based, è tutto rivolto alla
contemporaneità: si tratta di modellare, anzi di
inquadrare la situazione della pittura facendo affidamento su
quanto è avvenuto negli ultimi quattro decenni. A tentare l’impresa è Tony
Godfrey, che insegna e lavora all’Università di Plymouth e al Sotheby’s
Institute of Art. Si dirà: non è uno di quei luminari che infiammano, per così
dire, le (ristrette) platee dei dibattiti più
à la page (quegli stessi critici che, scrive lo stesso Godfrey,
“
hanno dismesso la pittura come qualcosa di irrilevante”, mentre alle aste i dipinti continuano a costituire
un buon 2/3 dei lotti venduti).
È
verissimo, ma è altrettanto vero e verificabile che Godfrey ha un dono
essenziale: la chiarezza, fondamentale quando si affronta un tema del genere in
un’ottica di trasmissione dei saperi. D’altro canto, quel che ha realizzato non
è affatto un’opera “compilativa”; e lo si capisce già scorrendo l’indice, e
incontrando un capitolo dedicato all’
History Painting.
Ma
andiamo con ordine. Il suddetto dono della chiarezza emerge, come si conviene
sui volumi d’area anglosassone, dall’
Introduzione, vera e propria dichiarazione programmatica e
d’intenti. Ma non ha nulla di certa accademica didascalicità. S’inizia infatti
con una fotografia, uno scatto di
Thomas Struth che ritrae alcuni visitatori di fronte a una tela di
Pollock. Cosa stanno osservando? Perché? Per quanto tempo?
Con quali aspettative? Con quali risultati? Domande semplici e capitali. E poco
dopo si cita
Verne Dawson – che
risponde a una domanda di
Cattelan -, il quale esterna un altro benefico truismo: “
Poiché gli esseri umani
abitano interni dotati di muri, i dipinti funzionano ancora straordinariamente
bene”. Semplice
boutade? Certo, ma altresì ammissione di “funzionalismo”. I
quadri (o le loro riproduzioni) arredano, è ovvio, ma hanno evidentemente anche
altri scopi. Per ciò il libro di Godfrey è, con le sue stesse parole, una “
discussione
di cosa fa la pittura oggi, di come ne facciamo esperienza e perché ne abbiamo
bisogno”. Poiché “
la pittura non è
soltanto un modo di vedere ma anche di fare il nostro mondo”.
Quanto
ad alcune scelte “azzardate” nella selezione dei temi/titoli dei capitoli, si
accennava a quella della
pittura storica. Che, rammenta l’autore, sino all’avvento dell’Impressionismo era
considerata l’acme della pittura stessa, ma che nella nostra contemporaneità
non è affatto scomparsa. E il primo esempio di Godfrey è un olio su tela di
Luc
Tuymans intitolato
Demolition (2005). Solo a uno sguardo attento si scorge, fra
quelle masse di polvere che occupano buona parte del dipinto, il dettaglio d’un
lampione: è la Manhattan ritratta appena dopo il crollo delle Twin Towers l’11
settembre 2001.
Insomma,
la morale è presto tratta: non solo l’arte non è morta, non solo non è morta la
pittura, ma addirittura la pittura di genere storico è in piena salute. Basta
non pensare – ed è un nostro giudizio – che esista solo il
Botero della serie su
Abu Ghraib.
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adoro i testi della Phaidon però questo ha qualcosa che non mi convince forse proprio nella selezione delle opere...c'è un pò di tutto e niente...viaggia troppo sul già noto..dunque, secondo me, non si inoltra sul tema del titolo