Michele Cometa, già autore de Il romanzo dell’architettura (Laterza 1999) e curatore del Dizionario degli Studi Culturali (Meltemi 2004), con Parole che dipingono analizza una significativa porzione della produzione letteraria secondo la visual culture.
Il ritardo italiano rispetto ai paesi anglosassoni, in cui i cultural studies sono ampiamente diffusi (basta notare il continuo aumento di corsi di laurea con questo titolo), è evidente. E tra gli studi culturali, forse complice il nostro patrimonio artistico, a tardare a imporsi è proprio la cultura visuale, che non disdegna riflessioni su forme popolari e non canonizzate di manifestazioni artistiche.
Parole che dipingono è uno dei primi passi per colmare questa lacuna. L’autore, più che tracciare una linea teorica, delinea un percorso esemplificativo delle interazioni tra parola e immagine (le reciproche illuminazioni delle arti, secondo la felice espressione di Oskar Walzer). Sia gli autori della parola presi in esame (oltre a Dostoevskij, tutti di area tedescofona: Heinse, Kaschnitz, Bernhard, Handke, Arnim), come quelli dell’immagine sono familiari al lettore. Cometa sceglie opere d’arte riconoscibili, presenta immagini che “concorrono alla costruzione di un canone visivo-culturale dichiaratamente operante nella costituzione della modernità nelle sue varie declinazioni locali”. La visual culture non si accartoccia quindi in un’analisi circoscritta agli ultimi decenni di manifestazioni artistiche, ma dispiega le sue potenzialità teoriche rileggendo e riguardando opere note agli studiosi: la pittura vascolare greca, il volto della Madonna Sistina, le spire voluttuose del Laocoonte. Dai pixel torniamo al pennello, insomma.
I “generi” artistici presi in esame sono diversificati. Da un lato vengono infatti presentate opere di poesia, narrativa, saggistica, epistolari, dall’altro scultura, pittura e schizzi di opere di architettura. Viene privilegiata la prospettiva letteraria, secondo la modalità di rielaborazione dell’ékphrasis (descrizione di immagini), con un ricco panorama di cui basta forse illuminare alcuni aspetti.
Ci sono descrizioni tradizionali (per quanto tradizionale possa essere la traduzione in parola): Wilhelm Heinse intesse la sua trama di riflessioni sui restauri del Laocoonte, offrendo un esempio tardosettecentesco per un’interpretazione sessuata dello sguardo.
C’è l’interessante caso di ékphrasis creativa, ékphrasis che “non descrive il suo quadro ma lo produce”: Karl Friedrich Schinkel, durante una specie di gara tra arti sorelle, disegna una storia di Clemens Brentano nel momento in cui viene inventata e raccontata. Ci sono torsioni parodiche: Fëdor Dostoevkij associa il volto virginale della Madonna Sistina a quello di una maliziosa adolescente e ai perversi pensieri del suo futuro marito.
Infine, c’è la creazione di gallerie di opere anticanoniche: Thomas Bernhard disegna un bizzoso percorso culturale alternativo nel patrimonio del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Lo scrittore intesse la trama di un lessico visivo, riconoscibile sia nella reiterazione di termini legati al vedere, sia nella prospettiva offerta dai diversi protagonisti: lo sguardo innocente, lo sguardo interrogante, ma soprattutto lo sguardo inquisitore del guardiano del museo, simile a quello dei sorveglianti del panopticon di Foucault. Oltre, aggiungiamo, al nostro sguardo di lettori.
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www.culturalstudies.it, dizionario on line dell’autore sui termini della cultura visuale
anna castelli
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