La conoscono quasi tutti la storia dell’ingresso in
Occidente dell’arte africana. C’è l’aneddoto che coinvolge
Picasso, che nel 1920 dichiarava con una certa malizia: “
L’art
negre?
Connais pas!” (come se nessuno avesse visto l’Esposizione Universale di Parigi del 1889…). C’è
il pionieristico saggio di Carl Einstein pubblicato nel 1915,
Scultura negra,
recentemente riproposto da Abscondita. E c’è il mecenate/mercante/collezionista
Paul Guillaume, che tanto contribuì a portare
le forme e le espressioni africane a Parigi, e che si circondava di artisti
come
Modigliani.
Ebbene, questi sono dati oramai acquisiti e ben noti a chi
si occupa d’arte. E la bibliografia in merito è copiosa. Più arduo è assistere
a mostre che sappiano interpretare con equilibrio l’influenza dell’Africa
sull’Europa e sull’Occidente in generale, e – perché no? – viceversa. Un
esempio è la grande mostra
Africa. Capolavori da un continente allestita alla Gam di Torino nell’inverno 2003/2004,
che tante polemiche suscitò, e non soltanto per questioni “locali”.
Gli specialisti della questione, tuttavia, continuano a non
essere poi così numerosi.
Il curatore della mostra piemontese, Ezio Bassani, ha
infatti curato con Jean-Louis Paudrat
l’edizione italiana del succitato
Negerplastik. A sua volta, Paudrat compare tra le firme del volume in oggetto,
Passione
d’Africa, il cui sottotitolo è piuttosto
esplicativo:
L’arte africana nelle collezioni italiane.
Il punto di vista però qui cambia, e parecchio. Il merito è
innanzitutto dell’
Introduzione di Egidio
Cossa, il quale rileva la problematicità d’una ricezione tutta interna alla
storia dell’arte, della “nostra” storia dell’arte, quest’ultima intesa secondo
un paradigma “
modernista” che mal
si attaglia ai manufatti africani, alle loro origini, alle loro funzioni. Così
può essere utile adottare un altro luogo d’osservazione e fare un passo
indietro di alcuni secoli, sino alla fine del Cinquecento e a quelle
Wunderkammern che ospitavano, fra gli
exotica, pure l’“arte” africana. E Cossa rammenta come in
Italia quest’interesse risalga addirittura ai Medici; e la lista s’allunga,
contando nomi d’un certo spessore: Ulisse Aldrovandi, Manfredo Settala,
Atanasio Kircher.
A entrare nel vivo del soggetto del libro è però Paudrat,
che ripercorre la vicenda dell’arte africana nel nostro paese. E se
Carlo
Carrà condannava ideologicamente il “
negrismo”,
è evidente che non fosse esente da influenze che l’Africa esercitava su alcune
sue opere, magari tramite il detestato Cubismo. E, restando nei primi decenni
del secolo, lo studioso rammenta il ruolo ben diverso di altri artisti, come
Alberto
Magnelli, affascinato dall’arte africana
sin dal 1913. L’attenzione di Paudrat si concentra tuttavia sulla seconda metà
del XX secolo, anzi si spinge sino al 2008. Ed è così che si torna
all’importanza della mostra torinese, passando per un’altra importante
rassegna, sempre curata da Ezio Bassani:
La Grande Scultura dell’Africa Nera,
allestita al Forte di Belvedere di Firenze nel 1989.
Non manca infine un focus, ancora a firma di Cossa, su due
casi esemplari: il Museo Pigorini e la straordinaria collezione di
Eugène
Berman, confluita proprio nelle raccolte
del museo romano. Ad arricchire il volume, inoltre, una serie di
Conversazioni e alcuni testi più brevi, nonché un dvd dedicato alla mostra torinese
(commentata da Philippe Daverio) e a
Terra d’Africa, terra d’archeologia, rassegna organizzata al Centre culturel français di
Roma nel 1990. Ma soprattutto non va dimenticato il cuore pulsante del volume:
le decine di pagine che riproducono altrettante opere d’arte africana, con
un’ottima qualità fotografica e di stampa.