L’uomo, si sa, è un animale in grado di adattarsi agli ecosistemi più diversi. Qualche decina d’anni fa uno è stato visto addirittura saltellare sulla superficie della Luna. Non c’è da stupirsi, allora, se negli ultimi anni un numero crescente di persone si è stabilito più o meno stabilmente nei mondi virtuali online: anche perché se il loro nome collettivo (Mmorpg) sembra lasciarci ben poche speranze di sopravvivenza, i loro nomi individuali (Dark Age of Camelot, Ultima Online, World of Worldcraft) sembrano promettere un’esistenza piena di avventure, adrenalina, esseri misteriosi e tutte quelle cose che la nostra beneamata civiltà si è persa per strada e che danno sapore alla vita. Certo, ogni tanto ci scappa qualche vittima: come Tistronco, l’amico di Niccolò Ammaniti rinchiuso in un ospedale psichiatrico, o come il cinese che ha ucciso un compagno di gioco per vendicarsi del furto di una durlindana virtuale.
Jaime D’Alessandro, invece, si è salvato. E come penitenza per le 1.400 ore trascorse nelle foreste di Dark Age of Camelot, ha deciso di scrivere questo libro. Una penitenza, sia chiaro, per l’autore, non certo per il lettore: dato che per quest’ultimo Play 2.0 si presenta senz’altro come un’esperienza piacevole e proficua. Giornalista, ma anche narratore e curatore –è stato lui a realizzare, con Play: il mondo dei videogiochi, la prima mostra europea sui giochi elettronici– D’Alessandro è riuscito nell’impresa di conciliare in un unico libro la ricostruzione puntigliosa dello storico, la capacità analitica di un semiologo e l’abilità narrativa del romanziere, scrivendo un libro che non annoia mai, ma che nel contempo riesce a proporsi come utile strumento di studio per chi sia interessato al videogioco come medium e coacervo di narrazioni, più che strumento narrativo.
Da qui la sua inclusione nella collana Holden Maps, una serie di saggi che sono altrettante mappe dei territori della narrazione, progettata dalla Scuola Holden di Torino: una inclusione che è anche la dimostrazione dell’importanza che i videogame stanno assumendo per gli scrittori, così come per l’arte contemporanea in genere, in quanto creatori di immaginario ma anche strumenti per fare arte.
Il punto d’arrivo di D’Alessandro sono, appunto, i giochi di ruolo di massa online, considerati come il punto d’incontro di una tradizione ludica che fino a questo momento era corsa su due binari paralleli: quella del gioco elettronico, nata con Computer Space di Noland Bushnell (1971), e quella dei giochi di ruolo, il cui progenitore è Dungeons & Dragons (1974). Ma D’Alessandro trova l’occasione per parlare di nerd e otaku, degli hacker e della nascita delle telecomunicazioni, di guerre stellari e problematiche identitarie, dello Sputnik e dell’uso dei videogame come strumento di propaganda. Niente male come penitenza…
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