“Posai la penna intinta nell’inchiostro sulla carta e attesi il peto successivo. Il mio procedimento si rivelava di un’efficacia sconcertante”. Ecco come dipinge, nell’unico romanzo di Serge Gainsbourg, il protagonista Evguénie Sokolov, costituendo un autoironico alter ego dell’autore e una pungente, apocalittica satira sul ruolo dell’artista. L’oggetto di recupero in arte è merce comune e ha ormai trasceso l’ambito letterale del ready made e del riporto Pop. Anche il rappresentante più indicibile della categoria dei rifiuti, l’escremento, sta ottenendo vasta attenzione nel campo della cultura e dell’arte: ultimo esempio Vittorio Sgarbi, che progetta una retrospettiva al Pac sugli escrementi in arte.
S’inserisce in questo filone anche una delle “illustrissime” della critica italiana, Lea Vergine, che pubblica una ricognizione della presenza dei rifiuti nelle pratiche artistiche del Ventesimo secolo. Il concetto di “rifiuto” è qui inteso in un senso ampiamente inclusivo, e l’autrice si concentra sull’utilizzo in arte di ogni oggetto o materiale che abbia esaurito la sua funzione nel contesto extra-artistico da cui proviene. Ecco dunque che la rassegna attraversa tutte le principali correnti artistiche del Novecento, che praticano l’arte dei rifiuti con intenti sempre diversi: dalla critica sociale degli anni Sessanta al “cerimoniale apotropaico di esorcizzazione contro i disagi di fine secolo”.
Ciò che emerge chiaramente è che la tendenza al recupero esiste da molto prima dell’iconoclastia fatta istituzione degli artisti postmoderni. Pescando qua e là nella sistematica rassegna di Lea Vergine, s’incontrano i collage dadaisti, i ready-made di Man Ray, i lacerti degli affichisti, i combine onni-inglobanti del Neo-dada Rauschenberg. E poi le camere d’aria di Carol Rama, la sindone del volto di Orlan, le espressioni osceno-scatologiche di Paul McCarthy, Louise Bourgeois e Tillmans, nonché –ça va sans dire– l’Arte Povera e la merda manzoniana.
L’autrice non affida in questa occasione l’analisi alla sua penna: compone solo una breve
In questo volume ci troviamo davanti a una forma generalizzata di quella tendenza che Hal Foster definisce “ritorno del reale”. Un ritorno esteso qui a tutto il secolo e non solo al postmoderno, e che non riguarda solo l’escrementizio e l’abietto, ma tutta l’espressione artistica contemporanea, “destrutturata” per definizione.
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stefano castelli
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non ho letto il libro ma ricordo la mostra omonima al palazzo delle albere di trento curata dall vergina. na figata!
Se questo libro non vi è piciuto, provate con Gomorra! Lì c'è scritto tutto in modo semplice e chiaro.
purtroppo non solo ho comprato il libro ma lo ho anche letto. dico purtroppo perchè l'argomento di per sè è molto interessante e numerosi sono gli spunti che potrebbero essere considerati e approfonditi. il potrebbero perché nel libro non è stato fatto, e questa è la grande delusione. una bella serie di foto, questo bisogna riconoscerlo, che offre un'ampia panoramica di opere che sono state realizzate con i "rifiuti", ma non è stata accompagnata da nulla, nè da una parte didascalica nè da una parte critica dell'opera come dell'artista, senza una collocazione nella storia dell'arte nè della ricerca. insomma una spesa che potevo tranquillamente risparmiarmi!!