Marisa Volpi è scrittrice e docente di storia dell’arte contemporanea all’università La Sapienza di Roma, nota al pubblico per i premiati romanzi autobiografici (Congedi), i saggi di arte e i racconti sulle vite dei pittori ( Géricault in Cavaliere senza destino, gli impressionisti in Fatali Stelle). A due anni di distanza dall’uscita di Fuoco Inglese, incentrato sulle cavalleresche vicende dei preraffaelliti, Volpi presenta Uomini, edito da Mondadori, e dedicato alle figure maschili che più hanno segnato la sua esistenza.
Se è vero che ogni vita contiene in sé un romanzo, Volpi guida il lettore attraverso questa intima biblioteca con una scrittura, che pagina dopo pagina, si fa “respiro continuo”. I momenti salienti della sua formazione di donna e docente universitario rivivono in una dipinta geografia degli affetti tra la natìa Macerata, Viareggio, Roma, sua città d’adozione, Cagliari, Recanati. Luoghi dove risuonano per le strade passi e voci familiari: il padre mite ed elegante (“il primo uomo della mia vita”), gli amori giovanili intrisi di slancio politico, il marito e il fratello, amatissimi. E tra di loro alcuni dei protagonisti della cultura italiana dell’ultimo mezzo secolo: Roberto Longhi , suo maestro, Giulio Carlo Argan, Alberto Burri, Mario Merz, Federico Zeri , e su tutti il critico letterario recentemente scomparso Cesare Garboli, forse il suo più intransigente e appassionato lettore.
Dai diari con la copertina nera, gelosamente custoditi per anni, come da una raffinata tessitura notturna di storie si accende l’immagine di un Roberto Longhi nella sua casa, dove “ci esortava a sederci anche noi, accanto all’enorme tavolo da lavoro. Alle pareti campeggiavano i quadri: la solita donna con il cappello di paglia di Fiasella, altri genovesi, Strozzi, Il ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio…aveva sempre una cosa da dire, qualunque fosse la nostra scoperta. In modo obliquo o diretto ci aveva preceduto, o raddrizzava il tiro”. E Burri, lo si può quasi vedere girare tra i suoi diciotto fucili da caccia e i quadri “sulle pareti a calce bianche come in un convento”. La narrazione è ricca di istantanee, di immagini, di paesaggi in un viaggio nella memoria che coinvolge sin dalla prima pagina.
Gli arabi dicono che le storie che raccontiamo a noi stessi o agli altri danno un senso alle nostre vite (si pensi alle novelle per mille e una notte della bella Sharhazad). Forse così è, grazie a questo libro, anche per Marisa Volpi.
stella bottai
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