Il meglio di sĂŠ Luca Beatrice lo dĂ quando si occupa di
argomenti âaltriâ rispetto allâarte
tout court. Non si tratta qui di sminuire la sua controversa attivitĂ di critico
e curatore â sarebbe il degno soggetto di un approfondimento â quanto di
sottolineare come siano dâindubbio valore le riflessioni che il torinese ha
sviluppato intorno al cinema (in particolare col bel libro Era
Fiction del 2004, a cui abbiamo dedicato
ampio spazio su queste colonne), alla musica e finanche al calcio (come
opinionista in forza alla anchâessa controversa Juventus).Il recentissimo
Visioni di Suoni. Le arti visive
incontrano il Pop è in sostanza
unâoperazione assai simile a quella compiuta col volume del 2004. Solo che in
questo caso si analizzano le tangenze e le commistioni fra arte e musica, in un
periodo compreso fra il 1967 â cioè quando esce Sgt. Pepper dei Beatles, ma pure lâeponimo album dei Velvet
Underground per le âcureâ di Andy Warhol â e lâoggi, giungendo a
citare i dipinti di
Valerio Berruti per
Angoli di cielo (2009) di Lucio Dalla.
Un libro certamente stimolante da molteplici punti di vista.
Per chi si occupa dâarte è una fonte inesauribile di spunti e inviti
allâascolto; nei confronti di chi si occupa di musica ha il merito
in primis
di adottare una scrittura comprensibile e
priva della vituperata cripticitĂ da âaddetti ai lavoriâ, costituendo cosĂŹ in
senso speculare un invito alla visione.Si diceva che gli spunti sono innumerevoli. E proprio qui
sta pure il punto debole del libro, ossia nel rischio che la lettura risulti
noiosa a causa della mole di informazioni â nomi e date a profusione -,
dispensate sĂŹ con uno stile accessibilissimo, ma troppo spesso appena
accennate. Si dirĂ : come fare altrimenti, dovendo raccontare un argomento tanto
enorme in meno di 400 pagine? Ă ovvio che si sfora nellâenciclopedico o, per
dirla piĂš pop-olarmente, nellâelenco del telefono commentato. In realtĂ una via
dâuscita câè, e risiede semplicemente nellâazione/missione a cui dovrebbe esser
votata la critica, il cui etimo rimanda a un giudizio
discriminatorio per definizione. Insomma, parlare piĂš diffusamente
di un numero minore di artisti (termine col quale indichiamo, va da sĂŠ, artisti
visivi, musicisti, compositori ecc.).Anche perchĂŠ le idee in questo libro ci sono eccome, ma
purtroppo soffocate dallâansia completista. Per citarne una soltanto: la
coincidenza durante gli Anni Zero della diffusione del disegno come tecnica
artistica da un lato e lâaffermarsi del New Acoustic Movement dallâaltro. In
entrambi i casi si tratta di unâestetica dellâincompiuto (si veda in merito il
libro del 2007 di Bruno Pedretti), di â
appunti sparsi, abbozzi, frammentiâ che accomunano Devendra Banhart e
Marcel
Dzama, Daniel Johnston e Jim
Shaw, le CocoRosie (che abbiamo
intervistato su Exibart nel 2007) e
Raymond Pettibon. E quel Fausto Gilberti che firma i deliziosi disegni in apertura dâogni
capitolo del libro.
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Beatrice, il critico-oggetto