Nonostante il crescente interesse nei confronti dell’arte
contemporanea in Medio Oriente, la bibliografia tende ancora a scarseggiare. Il
volume edita da Black Dog risulterebbe pertanto più che benvenuto, aggiungendo
un tassello critico a un puzzle in cui predominano decisamente i vuoti.
Il condizionale è tuttavia d’obbligo. L’ambizioso titolo
non trova infatti autentica rispondenza nei contenuti del volume. Beninteso,
saggiamente nessun editore accamperebbe la presunzione di proporre uno studio
esaustivo di fenomeni e movimenti artistici attualmente in corso e che, per
sovrappiù, hanno luogo in un’area geografica quanto mai complessa e variegata
per anatomia politica, religiosa e sociale.
Eppure, una maggior incisività sarebbe gradita da uno
studio che si propone di affrontare il Medio Oriente nella sua accezione più
ampia, quale visualmente esemplificata dalla cartina presentata in apertura di
volume, che include non solo il
Proche Orient tanto propriamente aggettivato dai
francesi e il Nordafrica spesso associatogli (la regione Mena citata da Nat
Muller nel saggio d’apertura che titola il volume), ma anche i paesi del Golfo,
che rappresentano piuttosto una realtà a sé, non meno dell’Iran (da cui
coscientemente si discostano i nativi mediorientali) e i paesi dell’Asia
Centrale, che costituiscono un mélange culturale e sociale di natura ancora
diversa.
Ci si chiede, di fronte alla quasi totale compattezza
della provenienza degli artisti effettivamente trattati, per quale motivo si
sia proposto un prospetto geografico tanto esteso per poi disattenderlo sul
piano concreto della selezione.
L’unica ragione per stirare la carta del Nordafrica
così da includervi l’Algeria sembra consistere nel saggio di Lindsay Moore,
diffusamente dedicato a
Zineb Sedira, con riferimenti anche a
Shirana Shahbazi,
Shadi Ghadirian e
Laila Shawa, laddove nessun artista algerino
appare in catalogo (contrariamente alle colleghe iraniane sopra menzionate).
L’inclusione della Turchia risulta ancor più astrusa (di
nuovo, nessun artista incluso nel volume), non meno di quella dei paesi del
Golfo, scopertamente snobbati con l’inclusione di un solo artista saudita (
Faisal
Samra), e questo
nonostante fra i più stretti collaboratori dell’edizione figurino i team di due
fra le gallerie più
established di Dubai, il cui punto di vista “interno” avrebbe potuto
riservare alla scena locale uno sguardo meno ingeneroso.
Certo, la dicitura sarebbe risultata farraginosa e di meno
agevole citabilità, ma il titolo di questo volume
à la rigueur potrebbe essere
Contemporary
Art from North Africa, Lebanon, Palestine and Iran (34 artisti su 45!), o un altro
che ne rispecchi e suggerisca in termini più “leccati” i contenuti.
Per tornare alla domanda di fondo: gli altri dove sono? La
sensazione è quella di dover decriptare un messaggio subliminale (tendenzioso
per natura), che implica l’assenza di un’autentica produzione artistica
contemporanea al di fuori dei confini di quei pochi paesi già meglio noti ai
lettori d’Occidente, il cui buon occhio risulterà pertanto lusingato.
Perché una cosa è certa: questo libro è destinato ai
lettori europei e americani, non a quelli mediorientali, con la sua selezione
di lavori visti e rivisti in galleria e in fiera, o pubblicati sulle riviste di
settore. Pochissime le novità proposte ai lettori, e decisamente troppe le
omissioni. Si direbbe un’operazione costruita a tavolino da studiosi
occidentali, la cui conoscenza del panorama artistico orientale emerge
indirizzata, veicolata, come se avessero osservato la realtà attraverso una
lente d’ingrandimento.
Dei quattro saggi introduttivi, che dovrebbero “
armare
il lettore di adeguati strumenti di navigazione”, tre sono centrati sulla regione
propriamente detta mediorientale, con un’attenzione peraltro quasi esclusivamente
rivolta a Libano e Palestina
(oltre al citato contributo di Nat Muller,
Desire
in Diaspora e
The
documentary turn: surpassing tradition in the work of Walid Raad and Akram
Zaatari); il solo
testo di Lindsey Moore, già ricordato, disassa parzialmente la prospettiva.
L’influenza delle gallerie nella selezione degli artisti
(e nella segnalazione dei loro nomi) sembra manifesta: un difetto di parzialità
cui non è sfuggita neppure l’ultima biennale veneziana, ammesso che ciò possa
costituire una qualche forma di consolazione.
Al di là dei nomi ormai familiari al pubblico occidentale,
in virtù di una carriera svoltasi in Europa o negli Stati Uniti e ampiamente mediatizzata
(non mancano
Mona Hatoum,
Shirin Neshat,
Ghada Amer), gli artisti presentati sembrano usciti dal catalogo di una fiera
commerciale o di una casa d’aste, con auspicabile vantaggio per le loro
quotazioni sul mercato dei collezionisti internazionali.
Un’ultima nota, purtroppo non correttiva, riguarda
l’apparato critico, difettoso anch’esso, elencando esclusivamente gli artisti i
cui lavori sono presentati nella sezione appositamente intitolata, laddove
quelli trattati, citati o ricordati nei saggi (che rimangono di gran lunga il
punto di forza di questo volume, con alcuni spunti e riflessioni francamente
stimolanti) non ricevono neppure l’onore di una sia pur sintetica nota
biografica.