Quarto volume della serie
Vitamin (dopo la
P di
Painting, la
D di
Drawing e il
Ph di
Photography), questo
Vitamin 3-D indaga
le
New Perspectives in
Sculpture and Installation.
Un’attenzione, quella in particolare per la scultura, che
Phaidon ha recentemente sottolineato con la pubblicazione di un denso libro di
Judith Collins,
Sculpture Today, e che aveva già posto sotto i riflettori – in maniera
piuttosto controversa – con la diffusione di
Unmonumental, catalogo della mostra d’esordio
del novello New Museum newyorchese.
La formula adottata per questo
Vitamin 3-D è omologa ai criteri che hanno
contraddistinto i precedenti volumi confratelli: fra oltre 500 “nomination”
sono stati scelti 117 artisti sulla base del loro “
significativo contributo
alla scultura e all’installazione (intese nel senso più ampio) durante gli
ultimi cinque anni”.
Dopo la sintetica introduzione di Anne Ellegood, curatrice
allo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, seguono le schede dei singoli
artisti: un breve testo critico e immagini di ottima qualità, per un totale di
due o quattro pagine cadauno.
Sul fronte italiano, abitualmente piuttosto sguarnito in
questi frangenti, le segnalazioni sono presto fatte. Dal punto di vista degli
autori dei testi, ci si può accaparrare Carolyn Christov-Bakargiev in quanto
curatrice al Castello di Rivoli (per quanto tempo ancora, non si sa), ma così
facendo si perde Francesco Manacorda, italiano sì ma in forza al Barbican di
Londra (sue le schede di
Chris Evans,
Matthew Day Jackson e
Tobias Putrih).
C’è poi Francesco Stocchi che
scrive di
Micol Assaël e
Gelitin e
Arcangelo Sassolino, nonché Giovanni
Carmine
(che però è svizzero), il quale annota l’opera dei suoi
conterranei
Christoph Büchel e
David Renggli, e infine Luca Cerizza che parla di
Luca Trevisani.
Quanto agli artisti, oltre ai summenzionati Assaël,
Sassolino e Trevisani, resta soltanto
Lara Favaretto, introdotta da un testo di Andrew
Bonacina.
Morale? Pare la situazione del calcio nostrano di club: in
patria tutti bravissimi, soprattutto perché si acquistano a cifre notevoli i
campioni stranieri, ma quando si tratta di gareggiare nelle arene globali – o
pure soltanto continentali – i risultati lasciano a desiderare. Fuor
d’analogia: i curatori italiani si occupano spesso e volentieri di artisti
“internazionali”, ma di non-italiani che siano interessati ai “nostri” artisti
ce n’è assai pochi. Certo, si può sempre dire che la “colpa” è di Phaidon e del
“sistema” che rappresenta, qualunque esso sia. E non è detto che si tratti di
un’idiozia, ma ha pur sempre quel sapore recriminatorio che lascia uno
spiacevole amaro in bocca.
Che fare dunque? Per esempio ricominciare a darsi
seriamente allo
scouting invece di accontentarsi della pagnotta sicura, facendo da
rappresentanti italici di secondo o terz’ordine di artisti
renommé. Scalfire la sicumera di parecchi
“giovani artisti” del Belpaese, che dopo la prima mostra pretendono un catalogo
generale e ingaggi – per tornare al mondo calcistico – da superstar. Mettere a
regime un sistema di spazi non profit che servano da volano fra le accademie e
le gallerie, magari con qualche sostegno (sostegno, non assistenzialismo) da
parte del settore pubblico.
E si potrebbe continuare a lungo. Ma son cose risapute
nell’
artworld,
e le ragioni per cui restano vane parole sono note anch’esse. Nel frattempo,
come diceva Nanni Moretti in
Bianca, “
continuiamo a farci del male”.
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Condivido la riflessione. In italia il sistema non funziona da lameno 15 anni si anella fase formativa che in quella di promozione internazionale. Questo non per mancanza di denaro o strutture ma per incapacità e mancanza di volontà. Se guardiamo agli artisti italiani coinvolti si tratta di artisti omologhi a centinaia di stranieri (nel mondo ci sono centinaia di trevisani o di favaretto). In queste occasioni ci accaparriamo una quota rosa che abbiamo di diritto e niente di più. Ma il punto sono i contenuti carenti, che derivano da carenze sistemiche. L'alibi dell'italia sfigata serve solo per coprire le responsabilità e il menefreghismo di molti operatori. Le energie ci sarebbero, ma ci prendiamo tutti troppo sul serio,siamo permalosi e i giovani sono vecchi reazionari. Vedremo.