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Lo spazio da investigare, nel Buch der Freunde di Domenico Mennillo
Libri ed editoria
Fare spazio sulla superficie della scrivania, accantonare oggetti che, per il momento, possono anche essere persi di vista, per far posto a una nuova linea prospettica. Con il ripiano sgombro, con i pensieri appianati, disporre i fogli nell’ordine dal quale sono emersi dalla cartellina di grana grezza, tasselli perlacei in formato A4 dai quali spiccano, come una partitura granulare, sabbiosa, i filari dei caratteri mobili impressi a caldo. La scrittura è una materia preziosa, soprattutto quando concede una forma organica, coerente, leggibile, armonica a quegli eventi realmente accaduti nel quotidiano degli individui e sovrapposti nello scorrere delle memorie. Nel caso del Buch Der Freunde – pubblicato a febbraio 2021 da edizioni morra/e-m arts – si tratta poi di decine di trame, elegantemente ordite da Domenico Mennillo a partire, o meglio, a latere, come una scia parallela, nel corso di “LunGrabbe”, progetto dalla durata ventennale, svoltosi in gran parte sul vasto e stratificato territorio di Napoli, suddiviso nel “Teatro dell’Architettura”, dal 2001 al 2009, e nell’ “Abrégé d’Histoire Figurative”, a partire dal 2010.
«L’interesse centrale di tutto il lavoro realizzato da lunGrabbe in venti anni di attività è lo spazio inteso come architettura, come costruzione-artificio a cui l’uomo delega la funzione dell’abitare, del mettere a dimora la propria vita in comunione con altri simili/diversi da sé», scrive Mennillo nel “Paradgima” introduttivo. Lo spazio quindi, da quello del teatro a quello urbano e viceversa, la sua estensione tutt’altro che pacifica, anzi, letteralmente irregolare, folgorata da canoni estetici, progetti e teorie, giochi e crisi. Un tema investigato da Mennillo in tutte le sue sfumature teoriche e pratiche, seguito nelle sue diramazioni inaspettate, tra filosofia e meraviglia. Notizie, avvenimenti, composizioni, pièce, performance, dialoghi, nomi, contributi, che si incrociano sul filo di un tempo che ha trovato finalmente un ordine ripercorribile, con diversi fascicoli slegati, da custodire in un cofanetto ragionato. Ma è l’azione stessa di aprire questo archivio, di svelarne le coste, di disporre i fascicoli su una scrivania sgomberata, a segnare la prima pagina virtuale di un ulteriore ciclo. A sparigliare le carte per trovare un nuovo filone di indagine, una investigazione di ciò che è stato, ricostruendo un nuovo percorso tra le tracce, come una inedita archeologia delle vestigia architettoniche lasciate da quegli eventi e dalle persone che li hanno attraversati.
L’ordine numerico, con le relative intestazioni: I. Trilogia del Teatro d’Architettura; II. Discorso sull’impossibilità del Teatro di offrire il meglio di sé al di là della rappresentazione + LudiMagister; III. Andromaca. Opera Neoplatonica in IV stanze ricreative; IV Opus Infectum. Poema-Concerto; V. Pierrot ou d’Automate Spirituel; VI. Alcune Architetture di Napoli; VII. Atlante della Fertilità; VIII. Hypothesis for Expanded Super Theatre; IX. WLK – Wunder_Litterature_Kammer; X. Abrégé d’Histoire Figurative. E poi Note, Teatrografia e Museografia di riferimento, tre Appendici, Bibliografia e Biografie degli autori.
E ora, sullo spazio della scrivania, i fascicoli prima ordinatamente disposti cambiano ordine, un paesaggio inedito scandisce la legittima aspettativa, l’uno viene dopo il 10, le pagine si sfogliano rapidamente – assaporandone la consistenza come una prova di esistenza – e poi ci si sofferma su alcune parole, sulla scenografia degli spazi lasciati, sugli accapo, cogliendo le citazioni e ampliando l’attenzione, focalizzando l’intuito su ciò che sembra ritornare da una parte all’altra, tra dimensioni verticali e orizzontali, in una sfida di ruoli tra investigatore ed enigmista.