30 luglio 2024

Moda e filosofia. Un intreccio indissolubile e magico nelle parole di Alessandro Michele e Emanuele Coccia

di

Pensiero e immaginazione aiutano a reincantare il mondo: a spiegarlo sono uno stilista e un filosofo, tra i più visionari in circolazione

Troppo spesso liquidiamo la moda considerandola frivola, leggera, superficiale. È stato pubblicato, di recente, da HarperCollins un libro dal titolo La vita delle forme. Filosofia del reincanto che smentisce questa vulgata aprendo i corpi che indossano abiti, accessori alla possibilità di trovare un senso nuovo, profondo, vitale nel vestire costruendo un’alleanza incarnata con la filosofia. È una raccolta di pensieri, di visioni, di elaborazioni sviluppate dal filosofo Emanuele Coccia e dallo stilista Alessandro Michele, ex direttore creativo di Gucci ora di Valentino.

C’è un testo giovanile del pensatore italiano Giorgio Agamben intitolato Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale che può aiutare a entrare nei mondi costruiti, scritti in un dialogo serrato da Coccia e Michele. Traiettorie, spazi, architetture, corpi si muovono alla ricerca di alternative allo svuotamento di senso e profondità che attraversa i linguaggi della nostra contemporaneità. Così come Agamben sviluppa un pensiero radicale ovvero concetti, visioni che vanno alla radice della cultura italiana individuando nella stanza dei poeti del ‘200 la dimora, il ricettacolo, lo spazio del reincanto così i due autori de La vita delle forme scelgono questa dimensione poetica e stilistica per declinare una casa molteplice, positivamente ambigua in cui varie stanze-temi si intrecciano per opporsi al nocivo disincanto del nostro tempo disumano.

C’è una solennità nella scelta del formato, dei caratteri tipografici utilizzati per dare forma visiva a un mondo preraffaellita, medievale in cui elementi magici, metafisici o religiosi generavano passioni, mistero. C’è un’eleganza senza tempo nelle parole e nello stile del libro che affonda le sue radici nei pattern e nelle pubblicazioni di William Morris, scrittore, poeta, imprenditore, attivista politico, pittore, designer di mobili, di carte da parati, di tessuti, grafico, editore. Una figura che incarna una passione intellettuale e creativa libera da quella divisione tra i saperi che era stata introdotta dall’illuminismo e che oggi come allora va messa in questione. Il pensiero così come la moda è ovunque, è incarnato nella vita, c’è moda perché ci sono corpi che si vestono per essere e c’è filosofia “perché il pensiero è ovunque. Anche in un film. Anche in un mobile. Anche in un vestito. È ingenuo cercarlo solo in un linguaggio particolare…” avverte Emanuele Coccia. Le voci, le parole del filosofo e del designer sono distinte nel libro, differenziate nel carattere e nel tono ma come per una magia alchemica si compenetrano, entrano in un accordo armonico, con un ritmo tutto loro. Alchimia e anacronismo sono parole chiave per demolire la cronologia della filosofia e della moda. Non c’è spinta verso un tempo unitario composto da passato, presente e futuro. Questa visione del tempo e’ consunta, consumata, esaurita, appiattita sul vuoto della compulsività capitalistica. C’è un tempo nuovo nelle parole di Coccia e Michele e’ quello dell’immaginazione e della coesistenza di memorie e azioni che provano a disegnare mondi più liberi dalla schiavitù del consumo, delle tendenze.

È ancora la lezione di Agamben a definire questo tempo come inattuale e aperto all’intempestivo, all’essere ma non coincidere, a non essere schiavi del tempo, del contemporaneo. C’è una stanza del testo che è dedicata al tema dell’ambiguità che possiamo tranquillamente definire lo spazio del molteplice, del significato aperto. I vestiti, gli abiti diventano dispositivi ambigui capaci di demolire le gabbie normative del capitale: classe, genere e razza. E pazienza se poi un abito di Gucci o Valentino costa tanto. La moda non è un brand, è una forma di vita che grazie alla filosofia si fa processo di emancipazione e decostruzione. Si fa reincanto. C’è una tensione a mostrare e pensare vita e moda nella loro straordinaria pluralità. Corpi, volti dell’essere. È l’ambiguità l’elemento che scompagina il quadro normativo, è la chiave di volta, il paradigma che aiuta a riscrivere le storie dei corpi che indossano, che si vestono demolendo un mondo che tende a classificare, uniformare. Non è solo una questione di normatività di genere, è un atto di liberazione. “L’ambiguità è il nuovo nome dell’universale perché è la forma più radicale di inclusività..” viene chiarito dagli autori. Sono gli abiti creati da Michele a diventare transfert di vite possibili inseriti in collezioni che, sin dall’esordio nel 2015 da Gucci, sono pensate come sistemi di riflessione. Grazie alla complicità del compagno Vanni Attili, Michele ha sempre utilizzato la filosofia per decostruire e allargare il campo della moda. Non creazione di abiti ma di immaginari inattuali, cyborg, transdisciplinari e soprattutto incarnati in corpi liberi di essere.

Il titolo del libro riprende un grande classico della storia dell’arte, scritto a inizio Novecento da Henri Focillon ed è composto di sette stanze declinate a due voci: filosofia, ambiguità, animismo, design, collezione, Hollywood, gemelli e si conclude con i testi di presentazione delle collezioni disegnate da Michele dal 2015 al 2022. Moda e filosofia si trasformano in un laboratorio collettivo di identità, dove si elaborano modi di essere e di pensare. È un esercizio di trasformazione, è una manifestazione di un possibile reincanto che permette ai corpi, alle vite che siamo di essere, di farsi esperienza. Parliamo, pensiamo attraverso il corpo. Siamo mescolanza, intrecci di ricordi, memorie, proiezioni che bucano la cronologia del tempo portandoci a riscrivere e a immaginare il nostro modo di essere. Non c’è genere che tenga di fronte alla vita delle forme, dell’essere. Molteplici, diverse, singolari e intrecciate. Nella stanza dedicata al design, Alessandro Michele che ha lavorato con Richard Ginori, azienda che ha avuto come direttore artistico Gio Ponti, definisce un passaggio in cui afferma che:” Ponti ha fatto della porcellana il laboratorio di un’altra relazione con la forma e il tempo, e ha insieme raccolto e segnato il destino della tradizione italiana…L’Italia è stata il luogo di passaggio, di ibridazione, di scambio di popolazioni e culture diversissime, dai sassoni agli arabi, dai greci ai francesi. Ed è probabilmente questa mescolanza ad aver prodotto meraviglia e ad aver permesso alla vita di esprimersi nelle sue forme più singolari”. Una profonda apertura alla contaminazione, all’ibridazione che si ritrova nella collezione Aria dell’aprile del 2021 in cui la storia di Gucci viene riscritta e immaginata come un laboratorio di hackeraggio, di incursioni e metamorfosi, tanto da farsi sconfinamento nel mondo di un altro genio della moda contemporanea, Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga. Il fetish contamina le origini equestri del brand fiorentino, i codici sartoriali maschili sono contaminati dalla bellezza dannata di Marilyn Monroe. Emerge un universo di forme, di corpi, di esistenze vestite e rivestite che nella loro fragilità e vulnerabilità rivendicano il diritto di essere. Ecco che filosofia e moda si intrecciano, si fanno mondi e modi di essere. Abiti che sono anche specchio dei nostri modi di abitare il mondo. C’è una forte connessione tra abito e abitare, hanno la stessa radice semantica, sono entrambe forme di essere, stare, trasformarsi.

Sono cosmogonie del reincanto quelle racchiuse in questo libro prezioso.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui