Il bellissimo saggio “Caravaggio. Pittore, genio, assassino” riesce ad andare oltre lo studio sulla genesi delle tele e la brillante introduzione alla situazione artistica e culturale europea tra XVI e XVII secolo. La ricerca dell’autore si spinge fino all’interpretazione dell’impulso creativo che porta il genio verso determinate scelte compositive. Formichetti, inserendosi nelle fila della più recente scuola di pensiero della critica caravaggesca, quella che tende a ridimensionare il mito dell’artista maledetto, realizza una sintesi delle differenti visioni, storiche e contemporanee, e giunge a una tesi del tutto originale. Raccoglie, pur senza condividerle fino in fondo, le analisi di Maurizio Calvesi, che si caratterizzano per l’interpretazione di un simbolismo di stampo cristiano, non trascura chi sottolinea l’incidenza dell’omosessualità dell’artista nelle sue opere, né chi, come Alfred Moir e altri, pone l’accento sull’influenza di Michelangelo e della cultura edonistica e libertaria delle “corti” cardinalizie. Da questa ricognizione, che non tralascia neppure gli apporti di cronisti contemporanei al Lombardo, quali Giovanni Baglione e Giovan Pietro Bellori, Formichetti perviene a una propria analisi che ambisce a scandagliare lo stato d’animo celato dietro ogni tela.
L’autore ci suggerisce il tormento di un uomo che, nonostante abbia raggiunto la gloria e l’agiatezza economica, continua a sentirsi un reietto. I più alti riconoscimenti e la protezione di personaggi colti e influenti non bastano a dare tranquillità al cuore dell’artista in perenne fuga. L’ansia di assoluto del peccatore ben si coniuga con le istanze pauperiste della Chiesa post-tridentina. Non è un caso che, proprio nel burrascoso periodo che lo vede esule a Napoli e in Sicilia, saranno proprio gli ordini minori a fornire lavoro e compensi cospicui al pittore dei santi plebei. E non è casuale che la tela che Caravaggio porterà con sé fino alla morte sia la “Maddalena Klein”, l’effigie della prostituta sofferente e redenta. Eppure, ci spiega Formichetti, l’artista non conosce la requie dell’abbandono alla fede. In tutti i quadri in cui si è ritratto, misto alla folla di santi e popolani, Caravaggio guarda sempre altrove, non è mai illuminato dalla luce divina che bagna i martiri. Caravaggio passa alla storia, segnando per sempre l’arte dei secoli a venire, ma senza risolvere la propria vicenda personale che si conclude su un anonimo litorale laziale, sempre inquieto, sempre braccato…
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Magnifico testo, lo prenderò sicuramente. Complimenti al giornalista!
lo trovo interessante, penso che lo acquisterò...e penserei di prendere anche quello consigliato in calce. Thanks.
Per Paola.
Mi permetto di consigliarti, se Caravaggio ti appassiona, come pendant allla lettura di Formichetti, il bel romanzo di Luca Desiato "La notte dell'angelo" 1994, Mondadori. Ora dovrebbe esserci anche l'edizione economica negli Oscar. Credo che si tratte di una delle biografie romanzate più riuscite... e... grazie mille.
sono perfettamente daccordo...
"non mi cercheresti se non mi avessi già trovato"...
Da appassionata di Michelangelo, credo che il punto d'arrivo di un uomo di fede possa non essere la quiete dell'abbandono, ma la domanda di misericordia se la pace non è raggiunta. Il fascino dell'uomo e artista che ho di fronte mi testimonia questa continua domanda fino alla fine che è ancora di più che non "stare in pace"