Nel suo ultimo libro, Lo spirituale dell’arte – Estetica e società nell’epoca postsecolare, Giuliano Zanchi offre un’analisi approfondita sull’intersezione tra arte e spiritualità, concentrando la sua attenzione sulla metamorfosi dell’arte nell’era secolare e postsecolare. Questo studio esamina il passaggio da un’arte strettamente associata alle chiese a un’arte ancorata nei musei e nelle esposizioni, evidenziando il ruolo cruciale di queste istituzioni nel coltivare un’esperienza spirituale nell’attualità.
Zanchi inizia esplorando la complessità del linguaggio comune sull’arte, interrogandosi sulla genesi del termine “musei-cattedrali” e sulla trasformazione delle cattedrali in musei, una mutazione ufficializzata con l’introduzione dei biglietti d’ingresso. L’autore mette in dubbio l’aforisma ben noto “la bellezza salverà il mondo”, suggerendo che questa fiducia soteriologica nell’estetica potrebbe comportare rilevanti implicazioni per il cristianesimo, poiché l’arte potrebbe emergere come una sorta di surrogato della religione, privo di dogmi e precetti ecclesiastici.
Nel suo libro, Zanchi esamina in profondità la storia, le dinamiche, il contesto e le conseguenze di quello che definisce come il “ritorno del sacro” nell’era postsecolare. Sottolinea che questo ritorno non si manifesta principalmente nel contesto religioso ma, piuttosto, in quello spirituale, una forma fluida e poco regolamentabile che ha alimentato la devozione artistica nel corso dei secoli. La tesi centrale del libro è che la cultura artistica contemporanea è divenuta il luogo simbolico per esprimere e vivere la dimensione spirituale umana, con una particolare enfasi sulla tradizione storica custodita nei capolavori iconici.
Zanchi mette in luce che, ai giorni nostri, l’arte come espressione dello spirituale trova il suo nutrimento nei musei e nelle mostre, superando il confine delle tematiche prettamente religiose. L’autore considera questi spazi come moderni rituali, esercizi spirituali in cui il patrimonio artistico viene elevato a status sacro. Zanchi esamina approfonditamente la “sacramentalizzazione” dell’arte, sottolineando il parallelismo con l’antica pratica cristiana di elevare l’icona a mediatrice del sacramento. In un contesto post-religioso, gli importanti eventi espositivi ereditano la funzione sociale e antropologica delle antiche ostensioni sacre e dei pellegrinaggi religiosi, trasformandoli in un culto dell’arte.
Di particolare interesse è l’osservazione secondo cui il valore artistico di un’opera d’arte diventa secondario rispetto al suo ruolo come intermediario del divino. L’arte diviene così uno strumento attraverso cui il sacro si manifesta, una «Emanazione diretta del referente», parafrasando Roland Barthes sulla fotografia. Sebbene la bellezza si diluisca nell’attualità, Zanchi richiama l’attenzione sulla necessità di adottare uno sguardo più consapevole sul discorso estetico, recuperandone la complessità.
In conclusione, Zanchi invita a una consapevolezza più profonda sull’arte nell’era contemporanea, in cui il museo emerge come forma predominante di interazione con il mondo, delineando quasi «un’età museale». L’arte, nelle sue svariate sfaccettature, diventa il rifugio in cui gli dèi possono sentirsi a casa, una devozione collettiva che preserva antichi slanci religiosi e una dimensione in cui la bellezza sfugge alla sua mistificazione cosmetica. Ciò richiede un riconoscimento della bellezza come esperienza fondamentale della realtà, stimolando una comprensione più profonda del mondo dell’arte nella contemporaneità.
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