Opera di culto della fantascienza giapponese, Noia Terminale di Suzuki Izumi, scrittrice, attrice, modella di un ben noto Araki Nobuyoshi, figura irrequieta e sfuggente della controcultura giapponese. Icona controversa, la cui memoria in Giappone è stata legata principalmente alla sua sregolatezza, agli abusi di sostanze e alla violenta relazione con il sassofonista Abe Kaoru, torna, finalmente, a far parlare di sé o, meglio, inizia a far conoscere la sua scrittura unica anche oltreoceano.
Pubblicato per la prima volta nel 1984, arriva in Italia come primo volume di una trilogia nella collana “Asia” di add editore (2024), nella traduzione di Ozumi Asuka, portando al centro una visione originale della società, quasi profetica, al punto che la critica Kotani Mari osserva che: «non è esagerato dire che l’era della fantascienza femminile – in cui le donne scoprono e ricostruiscono la femminilità – è iniziata con Suzuki Izumi, che ha vissuto nella sua fantascienza». La critica sociale, intercettata in temi riferibili al razzismo, all’imperialismo, si affianca alle esplorazioni di genere, al rapporto con una tecnologia ormai insinuata definitivamente nella quotidianità, sotto forma di dispositivi. In questo scenario i personaggi di Izumi si muovono, apparentemente imperturbabili. «Non ho alcuna fede certa, né fissazioni. E men che meno accade che la gravità di una qualsiasi situazione mi tocchi a livello emotivo. O forse sono io a fare in modo che non accada. Pertanto agisco solo in base all’umore, senza rimorso né rimpianto. Davanti a me, il mondo si estende piatto e scialbo. Gentile e inaffidabile.» Sono sette i racconti che compongono la raccolta, il cui comune denominatore è l‘ambientazione in una fantascienza declinata dalle distorsioni derivanti da esperimenti sociali e degenerazioni sistemiche. È un mondo dominato da un matriarcato estremo quello in cui vivono le protagoniste del primo racconto, una società apparentemente utopica, ma che tradisce, fin da subito, un potere autoritario e repressivo. La comparsa di un uomo ribalta gli equilibri, sollevando interrogativi sulla natura del potere e sulle sue potenziali deformazioni.
In un climax placido, privo di accelerazioni e colpi di scena, i racconti si susseguono scandagliando gli aspetti di una società umana trasfigurata: la criogenesi di cittadini scelti a caso, che vivono all’interno dei sogni di altri, la parodia di una famiglia che cerca di adattarsi ai modelli umani su un pianeta alieno, una simulazione della vita quotidiana che trapela una profonda crisi di identità. Le connotazioni di fantascienza speculativa che attraversano la scrittura di Suzuki costruiscono un paesaggio tutt’altro che invadente: i dettagli tecnologici sono infatti ridotti al minimo, ma l’ambientazione futuristica è funzionale all’introspezione psicologica dei personaggi, impegnati in lunghi dialoghi. Non sono gli oggetti o gli ambienti a scolpire la narrazione e l’immaginario che ne consegue, ma le relazioni, le emozioni e le tensioni tra individui intrappolati in un mondo in cui la noia, l’alienazione e la ricerca di senso sono predominanti. Elemento distintivo è proprio il suo sguardo lucido e disincantato sulla condizione umana. Con l’asettico distacco del chirurgo che ha appena posato il bisturi dopo il primo taglio, Suzuki scandaglia la società umana e le direzioni che stava assumendo già a metà degli anni Ottanta del Novecento. L’ascesa del neoliberismo, la crescente frammentazione delle identità sociali e politiche con la conseguente crisi della famiglia, la disillusione verso il progresso e la disintegrazione dei modelli tradizionali, sono i temi indagati, anticipando molte delle questioni più urgenti del presente, come le dinamiche legate al genere, alla biopolitica e alla mercificazione della vita umana.
«I primi esperimenti risalgono a molto tempo fa. Avevano impiantato degli elettrodi nel cervello di un paziente e lui alla fine aveva premuto il tasto più di cinquemila volte in un’ora. Ora hanno un dispositivo sincronizzato direttamente alla tv. Il cervello viene stimolato non appena si accende lo schermo. L’impulso elettrico viene trasmesso a intervalli regolari senza bisogno che la persona interessata prema alcun pulsante». L’autrice, nel contesto di una scrittura di fantascienza quasi minimalista, si inserisce all’interno di una tradizione in cui nucleo principale narrativo sono l’individuo e le sue frustrazioni esistenziali, invece che il progresso tecnologico o le speculazioni scientifiche. In questo, Suzuki sembra anticipare gli sviluppi più tardi della fantascienza, avvicinandosi a autori come Philip K. Dick e alla sua visione dell’identità e della realtà come concetti fluidi, costantemente messi in discussione dalla tecnologia e dalle dinamiche sociali. Particolarmente interessante è l’approccio della scrittrice alla questione di genere. Esplora una varietà di forme di espressione sessuale e di identità, rifiutando la dicotomia biologica e proponendo un’analisi delle strutture di potere legate alla sessualità e al corpo.
«Si è ricordato di quando la sorellina era un maschietto e si rincorrevano in pantaloncini corti. La madre aveva insistito: chi aveva un corpo femminile doveva essere cresciuto come una femmina, così il fratellino era diventato una sorellina, anche se per lui era indifferente. Poi, dopo che aveva cominciato a vestirsi da bambina, la sue forme si erano fatte più morbide». La scrittura di Suzuki affronta, infatti, in modo non convenzionale tematiche femministe e di genere, mai militante nel senso classico del termine, piuttosto come parte di un’analisi più ampia delle condizioni sociali, economiche e politiche che plasmano la vita degli individui.
«Anche tra le donne esisteva una cosa chiamata “amore”, ma non era un concetto astratto. Significava sopportare il pianto di un neonato e cambiargli il pannolino pur essendo morte di sonno. Significava trovare cibo e condividerlo con quelle creature piccole e deboli, ma non con gli estranei altrimenti né loro né la loro progenie sarebbero sopravvissute. Man mano che il numero degli uomini aumentava, le donne si trovarono costrette a sorvegliarli uno ad uno. Era sfiancante, ma era un lavoro di cui erano capaci, e che garantiva la protezione delle loro famiglie».
Il libro chiude con il racconto che dà nome alla raccolta, Noia terminale, un testo cupo e nichilista, inoltro conclusivo nel disfacimento dell’individuo all’interno della società moderna. Specchio della condizione di un’intera generazione disillusa e incapace di trovare riscatto, la speranza del futuro è annientata dalla spirale della depressione, della disoccupazione e delle dipendenze. Nonostante questa carica critica e pessimista, l’opera non si limita a diagnosticare il male, tenta comunque uno sguardo sulle possibilità di cambiamento, suggerendo una visione più ampia della condizione umana, proprio attraverso l’abbattimento di ruoli di genere eteronormativi e la sovversione di valori costituiti delle società, per come le conosciamo. Nel progressivo smarrimento delle certezze sociali e identitarie, Noia terminale si rivela un’opera straordinariamente attuale, sintesi di un presente molteplice e iper complesso, colto dalla sensibilità di uno sguardo unico. I racconti che compongono il volume si distinguono come voci di un coro, dando corpo ad un impianto unitario, coeso e organico. Una drammaturgia dove insieme agli umani divengono protagoniste l’alienazione, la manipolazione del reale, nel tentativo tuttora aperto di negoziare tra futuro e tecnologia, una libertarietà identitaria.
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