«La vita è quello che ti succede mentre stai facendo altri piani», John Lennon. È quello che è successo durante un workshop, in pieno lockdown, a Maria Cristina Strati autrice del libro “Talento non talento”, pubblicato da Ferrari editore. In realtà la ricerca avviata sul talento, non quello di Mozart o di Einstein, ma di quello che risiede in ognuno di noi, era iniziata molto prima.
Ma come spesso accade è nei momenti di crisi, come quello dell’emergenza sanitaria che tutti abbiamo vissuto, che ci si ferma e si fanno un po’ i conti con ciò che non va e si scava nel proprio vissuto alla ricerca del proprio “daimon”. Di questa figura ne parla lo psichiatra svizzero James Hillman ne “Il codice dell’anima”. Hillmann fa riferimento alla figura del Daimon, inteso come demone socratico, ovvero quella voce interna che ci suggerisce le scelte giuste, spesso da noi ignorate o non colte. Sarebbe invece proprio questo “Puk” shakespeariano, come ha detto Eraclito quando parlava di Destino e Carattere, a condurci verso il nostro talento.
Ma non basta ascoltare il proprio intuito, bisogna aver cura e coltivare il proprio talento per farlo crescere, proprio come una ghianda che diventa quercia. Nel testo sono tanti i riferimenti letterari ed artistici da cui possiamo trarre spunto per «Scendere nell’oscurità di una grotta profonda e scura – la propria, come suggerisce Michael Ende ne La storia infinita – per trovare la propria immagine guida perduta».
Dalla Vocazione di Caravaggio in cui san Matteo, autore del Vangelo in cui è narrata la parabola dei talenti, risponde alla chiamata di Gesù; a L’albero – porta di Giuseppe Penone che scolpisce il tronco di un albero per farne riemergere un secondo, interno; dalla performance di Gino de Dominicis in cui l’artista è intento a cambiare la forma dei cerchi prodotti dal gettare i sassi nel fiume, in quadrati; alla performance 7000 querce in cui Joseph Beuys sostituì, durante Dokumenta a Kassel (1982), dei blocchi di basalto con tante querce, da dar vita a un bosco.
Ognuno di questi esempi preserva un insegnamento, un prezioso suggerimento che rimanda a un senso più grande di quello personale, del singolo individuo.
Come Beuys, anche Ai Wei Wei con l’installazione Sunflower seeds alla Tate Modern sembra con i suoi piccoli semi di ceramica, migliaia, voler dire che non siamo soli, ma che il vero punto di arrivo è un’armonia collettiva, che il nostro quid può cambiare l’equilibrio del mondo. Per far ciò, la Strati invita ad indagare su sé stessi, di andare oltre, come la santa Teresa d’Avila della Abramovic, attraverso esercizi pratici coinvolgendo non solo il proprio essere/vissuto ma anche amici, conoscenti e persino personaggi che possono essere d’ispirazione. L’idea è di attivarsi attraverso best practice, andando ad agire sia a livello interno che esterno, ponendo delle domande e cercando delle risposte, in maniera libera, perché solo quando possiamo esercitare il nostro talento siamo veramente liberi.
Un ruolo importante in questo testo, di guida e d’esempio ce l’ha un artista come Raffaello Sanzio. L’artista urbinate nonostante abbia scoperto subito il suo talento, ed abbia goduto di una notevole fortuna in qualsiasi campo, aveva il giusto atteggiamento. Al successo non fece mai mancare un serio impegno, l’abilità di imitare o meglio carpire, migliorandoli, quei dettagli che rendevano eccezionalmente disarmanti una composizione.
La fortuna non basta e nemmeno il talento. Ci vuole l’impegno, il coraggio e la perseveranza di seguire il proprio istinto, imparando dagli altri, con grazia e misura. L’immagine iconica che viene in mente per trasmettere questo senso di gioia e dedizione per ciò che comporta sacrificio, ma che ne vale la pena è La merlettaia di Vermeer, che con il suo filo rosso sintetizza in sé il simbolo del raggiungimento del talento.
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