Interessanti le riflessioni che Fiorella Iacono sviluppa nel suo breve saggio dedicato allo scrittore William Burroughs, uno dei “guru” della Beat Generation, che si aprì alla pittura. La complessa figura dell’autore dei celebri romanzi The Naked Lunch (Il pasto nudo), la trilogia Nova Espress o Terre Occidentali emerge con forza, rivelando i gangli attorno ai quali si sono articolati alcuni temi profondi dell’arte e della letteratura del secolo scorso. E che si rivelano ancora carichi d’interesse per la nostra attualità, come il nesso tra scrittura e pittura o il valore della sperimentazione del linguaggio artistico.
Burroughs, partendo dalla scrittura, arriverà alla pittura attraverso un articolato percorso creativo e di vita, al cui centro spicca l’incontro con Bryon Gysin (cultore di buddismo zen e pittura cinese) avvenuto a Tangeri nel 1953 quando stava lavorando ad Interzona, trasformatosi poi nel già citato The Naked Lunch. Con Gysin, Burroughs condivide l’interesse per i riti magici, la Cabala ed, ancor più, per la scrittura geroglifica e le calligrafie orientali. Nel 1987 debutta per la prima volta come artista presso la Tony Shafrazi Gallery di New York; in seguito porterà in giro le sue opere in Europa, in Giappone ed in Italia, nel 1987, presso la Galleria Cleto Polcina di Roma dove espone i suoi Dipinti shotgun e collages.
Dal saggio della Iacono emergono nitidi alcuni punti stellari che furono di Burroughs, per molti versi adottati dalla generazione beat. In primis il tema dell’espansione degli stati di coscienza attraverso l’uso degli stupefacenti: sostanze che, secondo Burroughs, andavano assunte per uno scopo di conoscenza e non per una perdizione o una fuga, con ritorno traumatico nella realtà quotidiana. «La roba non è uno sfizio. È un modo di vivere», amava ripetere lo scrittore di Blade Runner (a movie), romanzo fantascientifico il cui titolo fu chiesto da Ridley Scott per il suo famosissimo film Blade Runner, tratto in realtà da un racconto di Philip K. Dick. Quindi nessuna enfasi per queste pratiche che hanno interessato non pochi artisti e poeti, a partire da Charles Baudelaire.
Non a caso la Iacono accenna ad alcuni punti salienti del celebre libro di Carlos Casteneda A scuola dello stregone (1968) in cui lo sciamano/stregone Don Juan conduce gradualmente il discepolo a diventare un “guerriero” attraverso l’assunzione della mescalina e del peyote, sostanze allucinogene ricavate dai cactus e da particolari funghi. Per Burroughs – che ha praticato la tecnica del “cut up” ( benché, questa ultima, parzialmente in debito con i procedimenti dada e surrealisti) anche la “sperimentazione” nell’arte non è mai fine a se stessa; e se il Libro – sostiene Burroughs – è per lo scrittore “un delta d’espansione”, anche la sperimentazione artistica è finalizzata ad un ampliamento della coscienza. Il guerriero, l’ “uomo di conoscenza”, per citare ancora Castaneda, è colui che si muove tra la dimensione quotidiana, ovvero l’universo conosciuto e ordinario, normalmente definito “realtà”,e l’ “universo sconosciuto”, quello che sfugge ai più, e che per raggiungerlo occorre trovare la porta d’accesso.
L’artista si adopera per entrarvi ed andare “oltre”, per stanziare nella dimensione del “nagual” e poi riportare ciò che ha visto nella sfera della realtà ordinaria del “tonal”. Egli abita questo territorio di confine e si fa punto di congiunzione tra i due mondi. Per raggiungere il fine tutte le strategie sono buone: anche usare il fucile e sparare ad una bomboletta di colore spray, preventivamente disposta davanti alla tavola o alla tela. Per Burroughs – sottolinea Fiorella Iacono – l’imprevedibile, il caso sono opportunità da non disdegnare, poiché aprono nuovi orizzonti; scuotono le strutture consolidate della logica razionale del “tonal”. Ed è quanto Burroughs ha sperimentato con i suoi shutgun. Parimenti, l’accesso alla dimensione “altra” dell’esistenza, che affiora nell’alchimia delle immagini e delle parole, può essere effettuato anche con procedimenti poco canonici. La tecnica del “cut up” in letteratura non è un vezzo, un espediente bizzarro per la ricerca di una sorta di nonsense dadaista. Burroughs – aggiunge la Iacono- afferma che «la pura e incontrollata casualità non può esistere. È sulla base di “una casualità ragionata ed apparente” che egli costruisce il testo» Un pensiero, questo ultimo di Burroughs – aggiungiamo noi – che pare avvicinare la concezione dell’atto creativo dell’artista-scrittore ad alcune intuizioni scientifiche, come quella che Jacques Lucien Monod ebbe a sostenere nel celebre libro Il caso e la necessità, nel quale teorizzava che l’imprevedibile, il caso sono all’origine di ogni creazione della biosfera, la quale per necessità dovrà pur mettersi alla prova con l’ambiente.
Pur non avendo mai aderito a nessun movimento artistico, Burroughs e Gysin con i loro “cut up” e scrapbook (mescolanza di disegni, fotografie,pezzi di testi scritti a macchina, ritagli di giornali e collages dipinti ai bordi con inchiostro nero) contribuirono e, in parte, anticiparono lo spirito dello sperimentalismo artistico e poetico delle avanguardie. La loro sensibilità era però, diversa da quelle di Ginsberg, Kerouac o Corso.
«I dipinti scrivono», dice Burroughs. «Raccontano storie. Ora i dipinti si muovono, ridono, ringhiano, parlano, gridano, cambiano ma è un movimento in un’altra dimensione, non qualche miracolo fisico di pittura in movimento. C’è un’aura ben definita che precede l’emergere di una chiara immagine, un senso di concentrazione a un certo punto nella pittura, poi le immagini si mettono a fuoco».
William Burroughs. Pittura, sperimentazione, scrittura. Da Blade Runner all’arte dello sparo
Autore: Fiorella Iacono
Editore: Mimesis/Eterotopie
Anno di pubblicazione: 2014
Euro 5,90