Se fossimo sul set di un film, probabilmente vedremmo uno Charlot boxeur che affronta il campione di pugilato. Da una parte un Bonami saltellante, discolo, agile; dall’altra un Obrist, peso massimo, che non si vergogna di mostrare tutta la sua solidità muscolare.
Curator. Autobiografia di un mestiere misterioso e Fare una Mostra sono due libri molto simili ed estremamente diversi a un tempo. Entrambi hanno una natura profondamente autobiografica, sono un racconto di sé, del proprio vissuto, che diventa anche il racconto di una professione nata in sordina, cresciuta bene tra la fine del XX secolo e gli inizi del XXI, ma ancora con dei grossi, irrisolti problemi di identità.
Entrambi sono una sorta di Bildungsroman curatoriale, costruito tappa dopo tappa attraverso luoghi, fatti, persone, soprattutto persone, tantissime persone: artisti, curatori, collezionisti, direttori di museo che puntellano e popolano i racconti dei due autori.
Il tono però è diversissimo.
Francesco Bonami lo si conosce, è politicamente scorretto, promette di fare nomi e cognomi, è irrispettoso, narra divertito e divertenti aneddoti su Matthew Barney, Gabriel Orozco e Charles Ray, il fake Mike Hubert, trasforma episodi cruciali del suo percorso in una sorta di Amici miei della curatela oppure li investe di luce quasi fantozziana. Capitolo dopo capitolo, con un ritmo rapido molto simile a quello di certe web series, Bonami racconta gli inizi come assistente curatore a Aperto’93 (e il rapporto conflittuale con ABO), Campo 5 e la nascita della Fondazione per l’Arte Sandretto Re Rebaudengo, l’incontro con Maurizio Cattelan/Orson Welles, il paziente numero 1 Rudolph Stingel (perché il curatore ovviamente cura i pazienti, gli artisti), gli inizi negli Stati Uniti, il ruolo di Manilow Curator al MCA di Chicago, e così via passando per il richiamo a sorpresa in Italia, alla direzione della Biennale veneziana del 2003.
E d’altra parte è lo stesso Bonami a giustificare il suo stile di scrittura semplice e diretto, funzionale a una più larga accessibilità del mondo dell’arte contemporanea, appreso «in America, dove è fondamentale, addetti ai lavori o meno, che la gente ti capisca». A questa semplificazione della comunicazione corrisponde naturalmente anche una aumentata superficialità, sebbene mai banalizzazione, dei contenuti.
Più cattedratico nel tono, ma sempre scorrevole e ironico, Hans Ulrich Obrist alterna ricordi personali a vere e proprie piccole lezioni di storia della curatela e dei musei, costruendo una catena i cui anelli sono composti dagli uomini straordinari, vivi e morti, incontrati lungo la sua via professionale. Il primo anello della catena sono ovviamente Fischli & Weiss – a quest’ultimo recentemente scomparso è dedicato il libro – che lo indirizzarono verso Alighiero Boetti, quasi un guru; quest’ultimo gli fece conoscere il libri di Èdouard Glissant, il cui «pensiero arcipelagico» – ovvero il riconoscimento di una molteplicità di centri nella cultura mondiale, in relazione tra loro di impollinamento, di meticciato culturale – ebbe una certa influenza sull’evoluzione di Obrist. E così ogni passaggio richiama il successivo, nella minuziosa ricostruzione di una autobiografia intellettuale. Tramite Bice Curiger, per esempio, apprese giovanissimo del geniale curatore Walter Hopps, il primo a organizzare una retrospettiva di Marcel Duchamp nel 1963 al Pasadena Museum of Art, e responsabile di aver aperto, nel 1975 con “Thirty-six Hours”, il Museum of Temporary Art di Washington a più di quattrocento visitatori-artisti, ricevendo personalmente ognuno e allestendo lui stesso le singole opere. Attraverso il raccontare i grandi curatori innovativi del passato, Obrist narra anche i propri modelli, e con essi lo sviluppo del proprio stile. Modelli come Willelm Sandberg, il curatore antinazista idolo di Harold Szeeman, che aprì il museo alla cultura “bassa”, portando nelle sale dello Stedeelijk di Amsterdam anche l’arte grafica e industriale, diversificando così il pubblico; oppure come Pontus Hultén, direttore di alcuni dei più grandi musei del mondo – e tra i fondatori del Centre Pompidou – che trasformò e dinamizzò il museo in direzione di una multidisciplinarietà ormai imprescindibile, riprendendo l’idea di Alexander Dorner di museo come Kraftwerk, fucina di sperimentazioni espositive insieme agli stessi artisti.
I treni, l’OuLiPo, l’intossicazione da caffeina di Honoré de Balzac, persino H.C. Binswanger, stravagante docente di economia politica seguito ai tempi dell’università, diventano per Obrist spunti di riflessione, di crescita intellettuale o scintille causali di qualche nuovo progetto, come la collettiva allestita nei primi anni novanta, insieme a Fischli & Weiss, Christian Boltanski e altri, nella cucina del suo appartamento a San Gallo.
Anche le famose interviste – con le quali Obrist ha spinto il concetto stesso di intervista verso inauditi livelli di monumentalità – trovano nel suo racconto un senso perfetto, rapportate all’attività curatoriale, e all’esatta comprensione degli artisti. Così ci racconta di una natura plurima dell’attività di curatore, sottolineata dal titolo originale del libro, Ways of Curating – ispirato al volume di Nelson Goodman sulla molteplicità dei mondi Ways of Worldmaking – più corretto, in questo senso, del titolo manualistico e vagamente bricolage scelto per l’edizione italiana, Fare una mostra.
Mentre dunque Obrist si mantiene su un tono alto, Bonami non cerca di nobilitare l’attività di curatore, né tanto meno di dare consigli pratici, ma adotta la parlata del vecchio mestierante, trasmettendo ai neofiti ciò che ha appreso da quel mondo in cui sembra essere finito quasi per caso. Sembra di sentire un vecchio cowboy cinico, quando ci dice che il mondo dell’arte è «un caotico parapiglia, una rissa da saloon dove non vince chi ne dà di più, ma chi riesce a rimanere in piedi», un mondo dove non c’è posto per i buoni sentimenti (ma in cui quello squalo freddo e calcolatore di Damien Hirst, invitato da Bonami a Venezia nel 2003, si ricorda di lui dieci anni dopo e lo chiama a curare la sua lussuosa monografica in Qatar). E soprattutto un mondo dove è il tempo, alla fine, l’ultimo arbitro a decidere chi resta e chi passa. Così, certi arroganti che si credevano grandi sono rimasti, se non piccoli, medi; certi presunti brocchi, invece, ancora resistono, e alla grande. Il resto, sono solo curatori da strapazzo.
Fare una mostra
Autori: Obrist Hans-Ulrich
Editore: Utet
ISBN: 9788851120955
Anno di Pubblicazione: 2014
Euro: 14,00
Curator. Autobiografia di un mestiere misterioso
Autore : Bonami Francesco
Editore: Marsilio (collana I nodi)
Anno di Pubblicazione: 2014
EAN: 9788831718318
Euro: 16,50