La tentazione di cominciare a scrivere partendo dalla sua vita avvolta nel mistero câè, eccome. Ma farebbe retrocedere ad un piano secondario la qualitĂ del lavoro fotografico di Vivian Maier (New York 1926-Chicago 2009), che ha lasciato ai posteri un archivio di oltre 150mila tra positivi e negativi, provini a contatto e una quantitĂ spropositata di rullini mai sviluppati.
Del tutto anonima, questa âfotografa amatorialeâ riservata e silenziosa, che di mestiere faceva la ânannyâ (tata, governante, bambinaia), è diventata un âcaso mediaticoâ a partire dal 2007, dopo la scoperta del suo lavoro da parte dello scrittore e fotografo statunitense John Maloof, curatore delle raccolte antologiche Vivian Maier: Street Photographer e Vivian Maier: Self-Portraits, nonchĂŠ regista (con Charlie Siskel) del film Alla ricerca di Vivian Maier (2013).
A cura di Maloof è anche il volume in italiano Vivian Maier. Una fotografa ritrovata, pubblicato da Contrasto in occasione delle mostre del MAN di Nuoro e di Forma Meraviglia a Milano, che contiene i testi Howard Greenberg, Marvin Heiferman e Laura Lippman.
Delle oltre duecento fotografie presenti nel libro (prevalentemente sono scatti in bianco e nero) colpisce quel suo sguardo sempre lucido, sistematico, curioso ed empaticamente vicino ai soggetti. Maier non smetterĂ mai di fotografare nel trentennio compreso tra gli anni â50 e il 1979.
Forse la macchina fotografica era per lei un modo per sentirsi nel mondo, vivere indirettamente situazioni ed emozioni, ipotesi che potrebbe avere un riscontro anche nellâossessione ad accumulare giornali che leggeva, fotografava, conservava. Ma, soprattutto, dalla necessitĂ di autoritrarsi costantemente, riflessa nella superficie specchiante di un cerchione di una Volkswagen (Florida, 1960) o di un tostapane (New York, 1954), per non parlare delle vetrine dei negozi, degli specchi o dellâombra proiettata sullâasfalto: lo sguardo in basso nel pozzetto della Rolleiflex, oppure dritto davanti a sĂŠ, sempre serissima.
Una sorta di Mary Poppins della street photography, vestita in modo austero e con le scarpe maschili, Vivian Maier â come per magia â è nel posto giusto al momento giusto, pronta a raccontare la quotidianitĂ con i suoi drammi e i suoi momenti di gioia.
Ă alla Weegee quel suo scatto che immortala il corpo a terra, a Chicago il 21 dicembre 1961. Ma câè anche lâironia alla Elliott Erwitt, la documentazione alla Robert Frank, unâattrazione per gli emarginati alla Diane Arbus.
Insomma, Vivian Maier è una fotografa dei suoi tempi che alterna una visione narrativa basata sulla descrizione (quindi esplicita) con la volontĂ di evocare storie, alimentandone la suspense, partendo dai dettagli: un paio di gambe femminili accavallate, due mani che sâincrociano, una poltrona che brucia su un marciapiede di New York, una rete squarciata che si libra nellâaria.
Immagini che non sono affatto edulcorate, ma inquadrano le contraddizioni della societĂ , ecco perchĂŠ lâuso del bianco e nero (lei stessa era solita sviluppare e stampare nei vari gabinetti delle abitazioni che cambiò negli anni) non è mai metaforico.
Vivian Maier. Una fotografa ritrovata
A cura di: John Maloof
Editore: Contrasto
Anno di pubblicazione: 2015
Pagine: 285
Euro: 39