Sapete chi era Ada Augusta, contessa di Lovelace? No, non è un personaggio di una delle tante stucchevoli telenovele in costume. Era la figlia legittima di Lord Byron con la passione per la matematica. Ă passata alla storia (e che storia!) per aver dedicato molto del suo tempo nel perfezionare una straordinaria macchina ideata da Charles Babbage. Insieme a questâultimo, anchâegli matematico e filosofo britannico, la contessa è annoverata tra i primi ideatori di un dispositivo per il calcolo differenziale e analitico: in una parola, i due progenitori del computer. Volendo tralasciare lâepopea leonardesca e le mirabili invenzioni, e rivolgere uno sguardo piĂš ravvicinato, risulta appassionante riflettere su uno dei  temi che hanno sempre affascinato gli artisti: vale a dire il rapporto tra arti visive e mondo della scienza e della tecnica.
Per questo ci viene incontro la ricerca di Valerio Dehò, noto critico dâarte italiani che si è distinto per la ventata di aria fresca portata al Kunst Merano Arte e per le sue svariate iniziative artistiche tuttora in corso. Arte ex machina. Arte, scienza e tecnologia: estetica di unâutopia, fresco di stampa per le Edizioni Christian Marinotti, è un libro da leggere. Si parla di macchine, si, ma non solo. Si affronta questo tema a partire dal clima ottocentesco, dal mito del progresso, generato dalle correnti calde del Positivismo, come se a queste macchine e alla scienza lâuomo affidasse la sua salvezza terrena e celeste. Un entusiasmo che nei futuristi troverĂ i rappresentanti piĂš convinti, fautori di quel mito della modernitĂ , accesi da impeti dionisiaci e profeti di una nuova societĂ meccanica. Un mito, però, che perderĂ il suo smalto poichĂŠ allâinterno della cultura del novecento sâinsinuerĂ il tarlo del sospetto, dopo il lungo viaggio al termine della notte che si conclude con la prima grande guerra.
Non a caso Valerio Dehò si sofferma sul celebre film di Fritz Lang, su quel Metropolis del 1926, la cui portata profetica ha fatto riflettere piĂš di una generazione, e piĂš di mille trattati sul totalitarismo. E dunque il rapporto ambivalente dellâuomo con la macchina viene ripercorso da Dehò che analizza la potenza interpretativa dellâarte, osservandone gli slanci, le riuscite, i tentativi ed i fallimenti prodotti nellâarco di tutto il Novecento fino ai nostri giorni. Un lungo percorso artistico in cui questa ambivalenza si è manifestata nelle espressioni piĂš riuscite, come negli assemblage meccanici di Jean Tinguely, produttori di uno sferragliare giocoso, risalenti ai primi tentativi infantili, a quelle ruote idrauliche e sonore approntate lungo i torrenti della sua terra. Un abbandono al macchinico, al gioco â come scrive Dehò â che âdiventa ancora una volta fonte di conoscenzaâ. Come, del resto, anche nel caso di Bruno Munari con le sue celebri macchine inutili o, per altri versi, quando si pensa al ârapporto dolceâ che Calder instaura con lâarte, con i suoi Mobiles, quasi un omaggio ante litteram alla leggerezza perseguita da Italo Calvino.
Si passa poi alla fase dellâArte cinetica, al concetto di ripetitivitĂ e prevedibilitĂ , applicato al gioco della creazione allâinterno del quale il fruitore inizia ad assumere un ruolo attivo. Ă la âfineâ dellâoggetto feticcio, il crollo dellâaura, come si evince dalle tesi del Gruppo N. Arte programmata, democraticamente offerta sotto forma di esperimenti percettivi.
Ma lâavvento del computer â dopo gli innumerevoli passaggi tecnologici che, immaginiamo, avrebbero fatto la gioia di Ada Augusta e di Babbage â segna la svolta. Ed è svolta di civiltĂ , benchĂŠ il rapporto bipolare con la macchina, ovvero la super macchina per eccellenza, sussiste; anzi si accentua, nel bene e nel male. E qui gli artisti si danno da fare per affiancare la propria creativitĂ alle potenzialitĂ della cosiddetta macchina stupida. Arriviamo alla Computer art. Ma si va oltre. Il processo è inesorabile poichĂŠ lâavvento dellâelettronica si appropria della macchina. Lâidea, il concetto di immagine, deve essere riformulato. I nuovi mezzi, prodotti da unâaccelerazione tecnologica senza pari, conducono sui sentieri della smaterializzazione. Assistiamo ad un mutamento paradigmatico che si svolge giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi. Lyotard a Parigi nel 1985 con Les Immateriaux coglie nel segno. Come dire che il mutamento è forte, va compreso il nuovo rapporto con la realtĂ sociale, la cui definizione sfugge ai canoni dellâantropologia e sociologia. Il mondo etereo che trasuda dai pixel, le possibilitĂ insite nellâhardware, stimolano lâimmaginazione, letteraria ed artistica. Si viaggia in direzione di Cyberia verso i paradisi delle realtĂ virtuali. Il concetto di Posthuman di Jeffrey Deitch â argomenta Dehò â mette in crisi âil solito inutile umanesimo di seconda mano che rimpiange lâunitĂ dellâuomo messa in crisi dalla macchina elettronicaâ. Siamo immersi nellâ âIconosferaâ (termine coniato da Gillo Dorfles nel 1965) e non câè possibilitĂ di sottrarsi, qualcosa è giĂ avvenuto e sembra che tutti possano essere artisti. Riaffiorano i rischi di una continua vaporizzazione dellâessere, di una perdita dâidentitĂ profonda. La super tecnologia â pare suggerirci lâautore di Arte ex machina, professore di Estetica presso lâAccademia di Belle Arti di Bologna â o va rifiutata o va assunta come punto di partenza. Bisogna interagire, con sapienza, come ha fatto Myron Krueger, vero pioniere dellâarte interattiva. Per non parlare della parabola felice di Mariko Mori che, come si sa, si avvale delle migliori collaborazioni scientifiche per la realizzazione delle sue opere. Sogni ad occhi aperti, versioni armoniche-religiose della tecnologia applicata.
Molto belli gli ultimi capitoli sulla Net Art e Generative Art. Vere sorprese per il presente-futuro dellâarte, in cui lâautore pone in giusto rilievo artisti come Casey Reas, Hannes Kock, Tabor Robak, Chris Milk.
Ernesto Jannini
Titolo: Arte ex machina. Arte, scienza e tecnologia: estetica di unâutopia
Autore: Valerio Dehò
Editore: Christian Marinotti Edizioni
Anno di pubblicazione: 2016
Euro  23,50