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03
aprile 2017
READING ROOM
Libri ed editoria
Duchamp e il suo doppio
di Antonello Tolve
di Antonello Tolve
Duchamp è stato oggetto, negli anni, di importanti studi, approfondimenti, riflessioni penetranti e altrettanto penetranti osservazioni che ne hanno restituito un volto polifonico, legato via via a una intelligenza “elastica”, a uno sguardo costantemente rivolto verso il futuro.
In occasione della mostra Su Marcel Duchamp organizzata alla Framart Studio di Napoli dal 22 novembre 1975 al 28 gennaio 1976, Achille Bonito Oliva, Maurizio Calvesi, Arcangelo Izzo, Filiberto Menna, Tommaso Trini e Arturo Schwarz hanno ad esempio, scritto dei saggi brillanti sulle sue varie pratiche artistiche, sui suoi atteggiamenti linguistici, sulle sue maniere di andare al di là del presente e della sua stessa presenza. Qualche anno prima, siamo nel 1969, Alberto Boatto, nell’Introduzione che accompagna la ormai introvabile prima edizione italiana di Marchand du sel (“rumma editore”, quarto volume della collana “saggidue”), ne disegna «l’azione corrosiva svolta […] in ogni direzione del pensiero e della sensibilità, tanto che» a Duchamp, avverte Boatto, «gli spetta senza dubbio quella qualifica di marchand du (de) sel, che» l’artista «si era già affrettato a prendersi per conto suo».
Tra le molteplici letture della sua opera, quella proposta di recente da Elio Grazioli in un fine libricino intitolato Duchamp oltre la fotografia (Johan&Levi, pagine 88, euro 16) e dedicato alle Strategie dell’infrasottile, è non solo il seguito di un volume dedicato alla polvere nell’arte (2004) ma anche una riflessione brillante sul rapporto di Marcel Duchamp con la fotografia, con il fotografo, con il fotografico. (Del resto, con la fotografia Duchamp instaura un corpo a corpo formidabile già nel 1917, quando realizza una Sculpture de voyage (Caoutchouc), ovvero una fotografia del proprio studio.
«Senza mai scattare una foto, Duchamp», avvisa Grazioli in un primo capitolo dedicato al rapporto tra Fotografia e movimento, «ha usato il mezzo fotografico a tutti gli alti livelli, fino a costruire attraverso di esso la propria biografia di artista e di persona nei molteplici sensi della parola, dalla maschera all’intima immagine di sé».
Duchamp infatti si fa fotografare «quarant’anni dopo da Eliot Elisofon mentre scende le scale» (1952), è in dialogo con Man Ray in più di una occasione, realizza con Percy Rainford nel 1945 lo scatto Marcel Duchamp all’età di 85 anni («l’artista ha in quel momento cinquantotto anni, simmetrici e speculari agli ottantacinque qui dichiarati», avverte Grazioli), dialoga con Ugo Mulas (1965-1967) e con Henri Cartier-Bresson (1968), si moltiplica nel Ritratto multiplo di Marcel Duchamp (1917) e mostra – tra le varie altre declinazioni di quella grammaticalizzazione dell’io che entra a far parte dei vari io linguisticizzati e perciò appiattiti, guardati come altro e altro ancora – la propria silhouette nei due Autoritratto di profilo (1958) o in With My Tongue in My Cheek (1959).
Muovendo da queste e altre circostanze che vedono il «non fare come atto e non come astensione del fare», Grazioli accompagna il lettore in un “excursus duchampiano” che ruota attorno al concetto-chiave di inframince (“infrasottile”): ovvero «la categoria sotto la quale Duchamp riunisce tutte le sostanze, gli stati, le differenze minime, le condivisioni, i passaggi di stato al limite dell’impercettibile e del distinguibile, reali ma non ottici, non “retinici”, che si colgono soltanto con la “materia grigia”». È, appunto, il territorio estremo del pensiero che cavalca e scavalca se stesso, il limite della percezione, il passaggio necessario ad un paesaggio mentale che assorbe il tempo e lo spazio, lo spontaneo e il programmato che unisce nel mistero delle cose: «quando il fumo di tabacco sa anche della bocca che lo esala i due odori si accoppiano per infra-sottile» (Duchamp).
Elio Grazioli
Duchamp oltre la fotografia. Strategie dell’infrasottile
Johan& Levi, Milano 2017
Pagine 88 – euro 16,00