Esattamente un secolo fa, 1918, i futuristi russi Majakovskij, Kamenskij e Burliuk firmavano il Decreto n.1 sulla democratizzazione delle arti: “La libera parola della personalità creatrice venga scritta sulle cantonate dei palazzi, agli incroci degli steccati, dei tetti, delle vie delle nostre città e dei nostri villaggi, sui dorsi delle automobili, delle carrozze, dei tram e degli abiti di tutti i cittadini… Come radiosi arcobaleni, da un edificio all’altro, nelle vie e nelle piazze, si stendano quadri colorati che rallegrino e nobilitino l’occhio. Pittori e scultori devono prendere subito vasetti con dentro i colori e i pennelli della loro arte per creare, per dipingere tutti i fianchi, le fronti, i petti delle città, delle stazioni e degli stormi dei vagoni ferroviari in corsa perenne”.
Una citazione, quest’ultima, tra le tante, che Maurizio Calvesi riportò all’interno del suo noto saggio del 1978; quell’ “Avanguardia di massa” che raccoglieva un nutrito numero di scritti pubblicato da Feltrinelli. Oggi, con avveduta accortezza ne viene riproposta una selezione, per i tipi di Postmedia Book, su lucida ispirazione della Fondazione Echaurren Salaris che per statuto ha lo scopo di diffondere lo studio dell’arte e della cultura visiva del XX e XXI secolo, in particolare le prime avanguardie, le neoavanguardie e, soprattutto, la controcultura italiana internazionale.
E dunque, il saggio ripubblicato di Calvesi, si inserisce perfettamente in un momento in cui l’attenzione critica agli anni Settanta sta riscuotendo un effettivo e nuovo interesse da parte di atenei e critici d’arte, laureandi e autonomi ricercatori; in particolare per quei movimenti, collettivi e spinte verso il ‘sociale’ che, di quest’ultimo, ne hanno fatto un tema portante per la loro operatività. L’ultimo convegno, per fare un esempio, “Italia anni Settanta: gruppi, collettivi d’artista, spazi autogestiti nel decennio della contestazione” curato con grazia e accuratezza scientifica da Lucilla Meloni, si è tenuto al Macro Asilo di Roma.
Avanguardia di Massa, la copertina della prima edizione
Calvesi si sofferma sui movimenti della controcultura analizzando le proposte e gli esiti dei gruppi studenteschi, degli indiani metropolitani, delle riviste di quel decennio come OASK, FUOCO, WAM (supplemento di Ombre Rosse), gli scritti di Bifo (Franco Berardi) in A/traverso supplemento di stampa alternativa, sulle argute analisi di Fausto Curi, Umberto Eco, Christopher Wagstaff. Anni Settanta, quindi: quel decennio che, andrebbe sottolineato, non va ricordato soltanto per i tragici eventi legati agli inestricabili intrecci politici, per il piombo caldo delle P38, per le bombe di Ordine Nuovo e per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, ma anche per le novità e le proposte dei gruppi alternativi e per le proteste, le urla dei giovani del ’77, per le ‘follie’ degli indiani metropolitani e per tutti quegli artisti che si sono schierati contro la concezione del potere come repressione e annullamento delle libertà individuali e collettive.
Maurizio Calvesi ne analizzò la lingua, i modi con cui i giovani si alzarono in piedi per esprimere ed affermare il loro punto di vista: testi, scritte, immagini e quanto altro. Come è noto, la tesi di fondo dell’autore di “Avanguardia di massa”, si articola sull’idea che tra il linguaggio delle giovani generazioni in protesta negli anni Settanta, e le avanguardie storiche, ci sia stato un nesso, un ganglio vitale; che però le avanguardie furono prese a modello, ma nello stesso tempo negate. Come dire che l’area bolognese del ‘movimento’ non fu priva di contraddizioni, che tra la massa di giovani bisognava distinguere all’interno tra “echeggiatori e portatori ‘colti’ e consapevoli di ideologemi o slogan avanguardistici”.
Insomma, la gestione del politico e dell’estetico non fu cosa semplice. Marinetti, – sottolineava Calvesi -, con perfetta tempistica, aveva compreso esattamente dove sarebbe andato a dirigersi il treno della storia: l’importanza dei mezzi di comunicazione di massa, l’intrico tra consumismo e rivoluzione, il linguaggio rapido delle parole in libertà e conseguente distruzione della sintassi, gli slogan; ma anche l’equazione arte-mercato, consumo e aggiornamento continuo, l’ironia e il sarcasmo. Così i “No alla violenza armata ma sì ad una grossa risata” scritto dagli Indiani in città echeggiano le parole del Palazzeschi nel manifesto Controdolore. Ma i collegamenti linguistici del ‘movimento’ sono riconducibili non soltanto al futurismo, pur anche al dada-surrealismo. La spinta a rompere le separazioni concettuali e operative tra arte e vita, è vettore di continue contraddizioni. Non a caso Calvesi riporta le parole di Fausto Curti (Perdita d’aureola, Einaudi, Torino 1977) proprio su questo punto: “Contraddizioni o, come qualcuno ha scritto, ‘aporie’ dell’avanguardia? Soltanto chi si ostini in una visione stolidamente antidialettica può non aver capito che nella misura in cui l’arte d’avanguardia è strutturalmente collegata per contraddizione con la borghesia, la contraddizione è il fondamento stesso dell’arte d’avanguardia”.
Dei tanti capitoli del volume originario ne vengono riproposti tre: Avanguardia di massa, Kassel o gli indiani e, Vent’anni dopo; una riflessione, quest’ultima, – puntualizza Raffaella Perna in postfazione – operata da Calvesi “a vent’anni di distanza dai primi due, in occasione della mostra ‘Oltreconfine. Indiani metropolitani, maodadaisti e altri avventuristi a Roma’, tenutasi nel 1998 presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università ‘La Sapienza’, diretto all’epoca dallo stesso Calvesi…Nell’ambito della mostra Calvesi riconosce il ruolo cruciale di Pablo Echaurren (non firmava i fogli) nella creazione dell’immaginario visivo del ’77: “Ora sappiamo che autore di gran parte dei materiali grafici pubblicati sulle riviste soprattutto romane del “movimento” era un artista: Pablo Echaurren”.
Ernesto Jannini
Maurizio Calvesi,
Avanguardia di massa. Compaiono gli indiani metropolitani.
Postmediabooks 2018
Euro 12,60
ISBN 9788874902118