David Hockney si è servito di metodi assolutamente inediti per affrontare gli eterni argomenti dell’arte: alberi e tramonti, distese di campi e sentieri, aurore e cieli stellati. Nei secoli XVII e XVIII il problema del disegno e della pittura di questi soggetti era il nucleo delle riflessioni di artisti come Claude Lorrain, William Turner e John Constable. Hockney ha ripreso le stesse sfide, sondando le possibili modalità di traduzione pittorica dell’esperienza sensibile. Le procedure fondanti della rappresentazione sono le basi da cui muove ogni sua intuizione per nuove opere: l’arresto, la trasformazione e la modificazione del tempo per oggetti fermi o in movimento, l’appiattimento dello spazio e la resa della profondità, l’efficacia della visione prospettica all’interno di determinate coordinate culturali, le alterazioni dovute a reazioni psicologiche soggettive.
Martin Gayford, critico d’arte e autore, recentemente, di un’importante monografia sull’amicizia tra Van Gogh e Gauguin, ci accompagna in un viaggio nello spazio e nel tempo, rigorosamente attraverso l’opera di David Hockney. I luoghi sono quelli di Bridlington nello Yorkshire, di Londra e Los Angeles, le località di origine e di adozione del pittore Inglese. Il tempo è quello trascorso nei dieci anni dal 2001 al 2011, periodo in cui si sono svolte le interviste raccolte nel libro. Sin dall’inizio, possiamo percepire che il dialogo tra l’artista e il critico è riuscito ad oltrepassare continuamente i limiti della conversazione formale, trasformandosi sempre in un incontro più libero e più ampio. Registrando intere giornate passate insieme all’autore, Gayford ha raggiunto lo scopo di approfondire l’approccio cronologico della narrazione con notazioni e inserti generici sulle tematiche fondamentali della produzione dell’artista.
A partire dai collages fotografici degli anni Ottanta, David Hockney inizia a spezzare la visione del mondo basata sulla prospettiva centrale in una decina di punti di vista differenti. Utilizzando il processo tipico del disegno per assemblare le proprie opere realizzate con Polaroid, l’artista ha saputo rispondere alla domanda sulla validità culturale della pittura all’interno di un sistema di riproduzione continua della realtà. L’immaginazione con cui gli scorci sono rimontati rimanda ad una conoscenza ulteriore, che sa stabilire una percezione del mondo affettiva di fronte alla freddezza gerarchica dello sguardo tecnologico.
Il titolo del volume, A Bigger Message, fa riferimento ad un’opera realizzata dall’autore nel 2010 a partire dal dipinto Il Discorso della Montagna (1656) di Claude Lorrain. L’originale mostrava lo spazio non tanto secondo una struttura lineare, ma seguendo una prospettiva aerea, basata sulle tonalità. Il pittore seicentesco, che era solito passare gran parte del tempo sdraiato sui campi, l’aveva costruito seguendo degli effetti di luce. Hockney che, non a caso, preferisce dipingere en plein air, se ne è servito per uno studio sull’impostazione dello spazio e sull’impatto cromatico della luminosità. Appropriatosi del soggetto e copiato a grandi linee il quadro, ne ha ripulito e mostrato i contenuti da un punto di vista lievemente più alto. Il risultato è un’opera quasi religiosa, in cui il sermone sembra rivolto ad un’umanità amplificata e disseminata sull’intero pianeta. Un messaggio inscritto in ogni riflessione sul potere e sulle possibilità dell’immagine, che l’artista sembra fare proprio anche nella vita privata, inviando ad amici e conoscenti piccoli dipinti realizzati intervenendo con le dita sullo schermo del suo iPad.
Martin Gayford, A Bigger Message. Conversazioni con David Hockney
Editore: Einaudi
Pagine: 248
Data di pubblicazione: 2012
ISBN 9788806213459
Lingua: Italiano
Prezzo: 28.00 €