Su Annibale Carracci pare si sia già detto tutto, ma non è così e il saggio della Ginzburg stupisce proprio per questo, per il modo in cui viene ribaltata e riproposta la vicenda critica del pittore per cercare in un percorso già tracciato alcune questioni spinose, sulle quali la discussione è ancora aperta.
La ricostruzione dell’intera opera carraccesca si fonda in gran parte sulla ricognizione delle fonti critiche e sulle posizioni di Giovanni Battista Agucchi, il primo sostenitore dell’artista ed in stretto rapporto con esso durante il fortunato periodo nella capitale. Questo saggio getta una luce sull’attività romana di Annibale, intesa non come un’astratta adesione all’ideale classico raffaellesco, ma come il momento culminante di una nuova ricerca rivolta ad un linguaggio stilistico “italiano” che egli, in sintonia con il fratello Agostino, conduceva attraverso il confronto con i grandi modelli cinquecenteschi di Tiziano, Correggio, Raffaello e Michelangelo. L’autrice riesamina le fonti critiche, i documenti e scardina la cronologia corrente degli affreschi di Palazzo Farnese e di altre opere di Annibale eseguite nella capitale, mettendo in relazione la cifra stilistica del bolognese con l’arte di Caravaggio, ed è proprio grazie a questo scambio culturale che le influenze diventano determinanti per entrambi, ma in modo particolare, per la piena restituzione di Annibale in un ruolo di primissimo piano che gli spetta nella storia della pittura del Seicento. La nuova ricostruzione, si allontana dalle idee di antagonismo tra una giovinezza dominata dal colore lombardo e una maturità caratterizzata dal disegno romano, tra il naturalismo dei soggetti degli anni bolognesi e il classicismo degli anni romani, in nome di una fusione tra soggetto e stile, genere “alto” e genere “basso, la Lombardia, Roma e Venezia, a favore di un carattere non peculiare ma ‘universale’.
Avviato a Bologna, questo processo trovò il suo pieno compimento a Roma, dove l’obbiettivo di accogliere diversi stili e di praticare diversi generi trasse dall’opera di Raffaello un decisivo incoraggiamento.
La sequenza temporale delle opere è la colonna portante della lettura critica fondata sulla scissione tra colore lombardo e disegno romano, dove una volta messo in discussione il presupposto di partenza, l’assetto cronologico è il primo a frantumarsi. Le ipotesi avanzate nel saggio dimostrano che le scene mitologiche e le allegorie delle virtù a monocromo affrescate nel Camerino, ritenute del 1595, non devono essere intese soltanto come un eco tardivo degli anni bolognesi per cui la data proposta appare tempestiva. In tutta risposta alle sollecitazioni romane, Annibale mantiene sì, l’impronta emiliana ma già domina pienamente Raffaello e la scultura antica, e ciò nonostante ripensa a Correggio, “ per scelta critica consapevole”.
Molti elementi spingono a posticipare questi affreschi:
L’analisi dettagliata della decorazione, si avvale di una nuova campagna fotografica, appositamente realizzata per questo volume e permette alla studiosa di ricostruire per la prima volta la storia della conservazione degli affreschi.
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