Il secondo volume di Mediamorfosi. Collana di arti e media -diretta da Sandra Lischi- conferma la novità del progetto editoriale pisano, pensato per un pubblico universitario. Brevi monografie dedicate a temi, problemi o autori video, che al rigore del taglio metodologico affiancano ottimi strumenti di consultazione (schede degli artisti, bibliografia e siti tematici, analisi delle opere).
Sensi che vedono si apre con una domanda: “che cosa ci attrae nelle videoinstallazioni?” dando per scontato l’apprezzamento e la curiosità del pubblico (nulla a che vedere, quindi, con la diffidenza e la perplessità che suscita molta arte contemporanea). La risposta data da Simonetta Cargioli evita la sociologia – tanto in voga – per mirare dritto al cuore dell’opera, cioè al suo linguaggio. O meglio ai molteplici linguaggi che vengono chiamati in causa, lasciando sullo sfondo la dimensione storica “dei primi quarant’anni” di videoarte.
Opere che vanno oltre la cornice. Nelle videoinstallazioni, infatti, lo spettatore entra nell’opera e si trova immerso in una riflessione-esperienza sul dispositivo che percepisce e/o produce l’immagine: l’occhio, la mente, la macchina. L’autore, cioè, sottopone a critica la distanza tra soggetto e oggetto, da un lato, e la rappresentazione prospettica, dall’altro. Quindi, questa forma d’arte prende le distanze dal teatro e dal cinema, dove lo spettatore è separato dalla scena; ma anche dalla performance e dall’happening, dove il protagonista è lo stesso artista.
Il titolo del libro, infine, sintetizza l’aspetto ibrido di queste ricerche artistiche, ma anche la loro capacità di capovolgere –in alcuni casi– l’assioma di Metz, secondo cui, lo spettatore moderno soffre gli effetti di una massima sollecitazione percettiva, associata ad una minima possibilità cinetica.
L’aspetto più interessante del libro è tuttavia costituito dalla ricognizione delle principali posizioni del dibattito teorico internazionale attorno a questa forma d’arte. Analizzando in modo particolare i debiti di alcuni percorsi artistici nei confronti del cinema sperimentale, d’avanguardia e del cinema espanso, secondo una tradizione critica poco seguita in Italia, e invece assai accreditata in Francia.
Peccato che si tratti solo di un “aperitivo” destinato a lasciarci a stomaco vuoto, visto che nel panorama editoriale italiano mancano monografie “serie” su molti autori video, anche sui più storicizzati e testi teorici non peregrini sulle teorie artistiche ed estetiche contemporanee che siano in grado di competere con il livello di approfondimento e competenza internazionale. Così come siamo ancora in attesa che vengano tradotte le riflessioni dei più autorevoli studiosi stranieri: un ritardo più che decennale che non potrà essere colmato da una piccola casa editrice, per quanto coraggiosa.
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