Categorie: Libri ed editoria

“Storia dell’arte”, la rivista fondata da Argan si rinnova

di - 2 Aprile 2020

“Storia dell’arte”, la mitica rivista d’arte fondata da Giulio Carlo Argan nel 1969, si rinnova dopo mezzo secolo di vita. Insomma, ha compiuto 50 anni e proprio non li dimostra, verrebbe da dire. Si tratta di un traguardo non di poco conto se si considera l’alto profilo che la rivista ha sempre mantenuto, nonostante le difficoltà economiche e di gestione che gravano sulle pubblicazioni scientifiche. Ne parliamo con l’attuale direttore Alessandro Zuccari (ordinario di Storia dell’arte moderna alla Sapienza Università di Roma e accademico dei Lincei) che firma la “Nuova serie”, oggi con cadenza semestrale e non più quadrimestrale e pubblicata da De Luca Editori d’arte.

Cominciamo con un po’ di storia di “Storia dell’arte”: la proposta di fondare questo nuovo periodico da chi partì?

«Partì da Maurizio Calvesi che, nel 1969, trovò ne La Nuova Italia un degno editore e chiese a Giulio Carlo Argan di esserne il fondatore e di assumerne la direzione. Nel 1992, con la scomparsa di Argan, la direzione passò allo stesso Calvesi e a Oreste Ferrari, che sin dall’inizio ne erano stati i redattori (affiancati da Luigi Salerno e, poi, da Angiola Maria Romanini). Sotto la loro guida, sempre attenta a garantire la prospettiva internazionale della rivista e il rigore metodologico dei contributi, le pubblicazioni sono proseguite fino al 2000, con l’uscita del numero 100. Ma proprio in quel momento, in seguito alla crisi de La Nuova Italia e al conseguente passaggio di proprietà, “Storia dell’arte” ebbe una battuta d’arresto, subendo un anno di interruzione. Per evitarne la chiusura, Maurizio Calvesi e Augusta Monferini costituirono la CAM Editrice, che ne rilevò la testata, e assicurarono dal 2002 la ripresa quadrimestrale delle pubblicazioni».

Quali sono i meriti più importanti che vanno riconosciuti a “Storia dell’arte”?

«Sicuramente quello di aver accolto letture innovatrici e autorevoli proposte interpretative di grandi autori e opere d’arte. In questa prospettiva la lettura iconologica si è confermata come sbocco necessario alla piena comprensione dell’opera d’arte e della realtà socio-culturale in cui è stata prodotta. Tutto questo può sembrare ovvio, ma non lo era affatto – almeno in Italia – negli anni in cui Calvesi, per esempio, pubblicava su questa rivista i suoi studi su Dürer (1969), Giorgione (1970), Caravaggio (1971) o Piero della Francesca (1975)».

La rivista, inoltre, si è sempre qualificata per l’ampia partecipazione di studiosi stranieri, che possono scrivere nella propria lingua. Ce ne ricorda alcuni?

«Scorrendo gli indici si può costatarne l’alta percentuale: limitandosi alle annate 1969-2000, sono 150 le firme non italiane su un totale di circa 600 saggi (il 25%). Gli illustri nomi che vi figurano vanno da Chastel a Gombrich, da Bodart a Rosenberg, da Spear a Turner, da Garms a Röttgen, da Frommel alla Von Hennemberg, da Gonzáles-Palacios a Spalding, da Meijer a Stoichita, da Lisa Beaven a Pamela Jones e a tutta una schiera di studiosi di fama o agli esordi».

Storia dell’arte

Parliamo del nuovo corso di cui lei è il direttore. Da chi è composto il nuovo comitato scientifico?

«Da Stefania Macioce (vicedirettore), Francesca Baldassari, Fabio Benzi, Lorenzo Canova, Elizabeth Cropper, Gail Feigenbaum, Camilla Fiore, Manuela Gianandrea, Helen Langdon, Annick Lemoine, Loredana Lorizzo, Massimo Moretti, Xavier F. Salomon, Antonella Sbrilli, Sebastian Schütze, Francesco Solinas, Victor Stoichita e Caterina Volpi».

In occasione del 50° di “Storia dell’arte”, si è deciso di dedicare il terzo numero della “Nuova serie” della rivista agli studiosi che ne sono stati protagonisti. Come mai questa scelta, oltre a voler celebrare un passato glorioso?

«La prima sezione del doppio fascicolo raccoglie una serie di scritti riguardanti le figure di Giulio Carlo Argan (1909-1992), Maurizio Calvesi (1927), Oreste Ferrari (1927-2005), Luigi Salerno (1924-1992) e di Angiola Maria Romanini (1926-2002). Attraverso questi protagonisti della cultura italiana, è possibile – a mio avviso – rileggere un tratto della storia del nostro Paese, e non solo degli ultimi cinquant’anni. Il loro impegno civile, la loro attività scientifica, l’autorevolezza del loro insegnamento costituiscono un’eredità preziosa su cui continuare a riflettere. Per questo continueremo a pubblicare contributi dedicati alle personalità che hanno segnato la vita della rivista».

Alla figura e all’opera di Argan sono dedicati ben tre differenti contributi…

«Sì. Nel primo, ripercorrendone la parabola di insigne studioso, docente universitario e orientatore della cultura del contemporaneo, Claudio Strinati propone una ricostruzione di ampio respiro sia del quadro storico e del contesto accademico – fondato sulla lezione di Adolfo e di Lionello Venturi – in cui nacque “Storia dell’arte”, sia delle questioni teoriche e metodologiche che in quegli anni animavano il dibattito storico artistico. Altri due articoli, di Matteo Procaccini e di Carla Subrizi, richiamano due decisivi versanti dell’impegno di Argan presso la Direzione Generale delle Belle Arti (dal 1938) e come docente universitario (dal 1955): l’uno dedicato alla coraggiosa opera di salvaguardia delle opere d’arte del nostro Paese durante il secondo conflitto mondiale (svolto con Pasquale Rotondi e altri illustri soprintendenti), l’altro rivolto alla sua posizione nel dibattito internazionale sulla storia dell’arte e al suo celebre manuale, uscito in tre volumi nel 1968, cui si aggiunse nel 1970 L’Arte moderna. 1770-1970, che mutarono profondamente la concezione e l’insegnamento della disciplina divenendo paradigmatici non solo in Italia».

Anche in questo numero si presentano opere inedite e novità documentarie di primo piano. Quali sono?

«Riccardo Gandolfi, dopo un paio di anticipazioni, pubblica per intero la biografia del Caravaggio contenuta nelle Vite di Gaspare Celio, il cui manoscritto autografo è stato scoperto dal giovane studioso, che ne sta curando l’edizione critica. È un contributo di grande rilevanza (si tratta della più antica biografia del Merisi dopo il breve profilo di Karel van Mander) che dà seguito a quel fruttuoso filone di studi caravaggeschi inaugurato in “Storia dell’arte” a partire dai suoi primi anni.

Raffaella Morselli fa emergere dall’oblio uno straordinario inedito di Pieter Paul Rubens, un’Educazione della Vergine in collezione privata, realizzato certamente nel periodo italiano del pittore, precisamente intorno al 1608, in una fase estremamente creativa e prolifica segnata dall’esecuzione dei quadroni per Santa Maria in Vallicella.

All’iconica Madonna col Bambino dormiente dipinta da Guido Reni per la basilica romana di Santa Maria Maggiore è dedicato l’articolo di Giulia Iseppi. Si tratta di una vera e propria riscoperta: del dipinto, oggi disperso, ma tra i più copiati del pittore bolognese, non si conoscevano le vicende di committenza, ricostruite in questa sede sulla base di documenti rinvenuti presso l’Archivio della Basilica Liberiana.

Antonio Iommelli, inoltre, esamina con cura fonti inedite sul pittore perugino Luigi Scaramuccia (1616-1680) e su suo padre Giovanni Antonio (1579-1633). Attivo tra Roma, Bologna e Milano, Luigi Scaramuccia è conosciuto soprattutto per il suo itinerario artistico, dato alle stampe a Pavia nel 1674. La precisazione dell’anno di nascita (1616) permette di riconsiderare la notizia di Lione Pascoli sull’apprendistato del pittore presso la bottega di Guido Reni».

Cosa si augura per questo nuovo corso di “Storia dell’arte” sotto la sua direzione?

«Di riuscire ad aprirsi efficacemente alle nuove sfide e alle prospettive di ricerca e di confronto che gli studiosi dei diversi indirizzi sapranno proporre».

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