Un racconto personale di incontri, amicizie e relazioni professionali che Vincenzo De Bellis e Alessandro Rabottini hanno coltivato negli ultimi vent’anni e raccolto nella forma di 37 conversazioni: è Strata: arte italiana dal 2000. Le parole degli artisti. Co-pubblicato in due edizioni, italiana e inglese, da Lenz e Les Presses du réel, il volume presentato con un tour internazionale che coinvolgerà le istituzioni partner: Camden Art Centre di Londra; Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano; Museum Fridericianum di Kassel e Kunstmuseum Liechtenstein di Vaduz.
Strata: arte italiana dal 2000. Le parole degli artisti è uno dei progetti vincitori della X^ edizione dell’Italian Council, programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Conta del contributo della Fondazione In Between Art Film e raccoglie lunghi dialoghi che tra i due autori e gli artisti rappresentativi della scena italiana degli ultimi vent’anni: Yuri Ancarani, Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Rosa Barba, Elisabetta Benassi, Luca Bertolo, Rossella Biscotti, Chiara Camoni, Gianni Caravaggio, Giulia Cenci, Danilo Correale, Roberto Cuoghi, Enrico David, Patrizio di Massimo, Lara Favaretto, Formafantasma, Linda Fregni Nagler, Giuseppe Gabellone, Martino Gamper, Francesco Gennari, Massimo Grimaldi, Petrit Halilaj, Adelita Husni Bey, Giovanni Kronenberg, Luisa Lambri, Marcello Maloberti, Diego Marcon, Masbedo, Luca Monterastelli, Adrian Paci, Diego Perrone, Alessandro Pessoli, Paola Pivi, Pietro Roccasalva, Alessandro Sciarroni, Marinella Senatore e Francesco Vezzoli.
In occasione del suo debutto – questa sera, a Milano, alla Fondazione Arnaldo Pomodoro – abbiamo parlato Vincenzo De Bellis e Alessandro Rabottini.
Non più e non solo Le Vite di Vasari. Avete scelto per Strata una natura personale, frammentaria e autobiografica: che valore hanno incontri, amicizie e relazioni, personali e professionali, nella costruzione di una storia, in particolare quella dell’arte?
Vincenzo de Bellis: «Io penso che abbiano un valore enorme. La storia dell’arte, tanto quanto la storia in generale, è fatta di episodi, incontri, scontri, relazioni. Questo libro è la testimonianza di circa vent’anni di rapporti lavorativi che spesso sono diventati anche delle amicizie, in primis tra Alessandro e me, e poi con gli artisti. Chi fa il nostro lavoro ha l’obbligo di guardare, leggere, studiare e confrontarsi costantemente. Lo dobbiamo a noi stessi e lo dobbiamo agli artisti, il cui lavoro esiste perché possa essere visto, letto e studiato. Ciò detto, è naturale che, nel corso degli anni, si creino dei rapporti continuativi che finiscono per andare al di là dell’aspetto strettamente professionale. Strata è la rappresentazione di tutto questo: è una sorta di viaggio con 37 compagni di strada, anzi forse ancora meglio 37 caffè presi insieme, durante ognuno dei quali facciamo un punto della situazione tanto professionale quanto personale per far emergere certamente il loro (e il nostro) pensiero sul lavoro ma anche la loro (e la nostra) posizione individuale nella società».
Avete scelto lo strumento del dialogo, favorendo la condivisione e l’incontro e anche contaminando la prospettiva critica e autoriale. Come avete strutturato e condotto le conversazioni?
Alessandro Rabottini: « Le conversazioni sono tutte individuali, alcune condotte da Vincenzo, altre da me. Che siano state condotte in presenza, incontrandosi fisicamente, oppure in remoto attraverso canali tecnologici, tutte le conversazioni sono basate su un botta e risposta, nessuna ha previsto un set di domande mandate tutte insieme cui far seguito con un insieme di risposte. Questo può sembrare un dettaglio ma non lo è, nel senso che del dispositivo della conversazione ci interessava proprio il momento in cui i presupposti interpretativi da cui ciascuno di noi può partire sono confermati, sviati o contraddetti. Era importante che ci fosse il momento dell’inciampo e quello della sorpresa, il momento in cui il dialogo prende una piega inaspettata. Non abbiamo seguito uno schema comune o una regola, anche se abbiamo sempre cercato di far emergere un aspetto personale, di vita: Strata è un libro ricco di passaggi in cui puoi cogliere come alcuni aspetti del lavoro di ciascun artista non siano soltanto un fatto di poetica, di scelte linguistiche e programmatiche ma un fatto di esistenza, in cui le cose che ti accadano attorno concorrono alla creazione di una forma. E questo non vuol dire fare una lettura biografica delle opere quanto, piuttosto, calare le opere in un percorso che è tanto concettuale quanto esistenziale, tanto poetico quanto quotidiano».
Restando, ancora per un momento, nel regno del personale, c’è qualche aneddoto o fascinazione significativa legata alla realizzazione di Strata?
VdB: «Gli aneddoti sono principalmente legati a problemi di natura tecnologica perché la stragrande maggioranza delle conversazioni, almeno le mie, sono avvenute su Zoom. Nella mia vita precedente ero a Minneapolis, mentre con il mio lavoro attuale sono sempre in giro da qualche parte e quindi ho dovuto fare un uso molto significativo delle tecnologie. Faccio un esempio per tutti: la prima conversazione che ho fatto è stata quella con Francesco Arena, e abbiamo dovuto poi rifarla interamente perché non sapevamo come scaricare e poi esportare il file. Un aneddoto invece non legato alle tecnologie ma che racconta tanto di questo libro sta nella quantità di materiale registrato che, per motivi di spazio e, in qualche occasione, anche per motivi di “opportunità”, in accordo con alcuni artisti ho deciso di non inserire in alcune delle mie conversazioni. Chissà se un giorno, quando saremo tutti molto più avanti con l’età, potremo riascoltare quelle parti delle conversazioni e magari, per divertirci un po’, pubblicare il lato più leggero fatto di questioni familiari, lamentele di vario genere, insomma le cose che affrontiamo tutti ma che restano nel privato di ognuno di noi. Invece, una rivelazione sul libro come oggetto riguarda la scelta della dimensione, sulla quale abbiamo molto dibattuto sia tra di noi sia con i grafici e con gli editori. Alla fine noterete che si tratta di un libro piccolo ma molto “spesso”: ovvero un mattone… nel vero senso della parola, intesa nella sua accezione architettonico-costruttiva. Speriamo non in quella legata alla “pesantezza” che tutti noi abbiamo decretato su molti libri che ci è toccato di leggere. Questo non vi tocca leggerlo, sceglierete voi se farlo o no, e allora questo mattone prendiamolo con la giusta e Calviniana leggerezza».
A proposito del titolo, Strata è l’espressione latina usata per indicare la successiva concrezione di più strati di materia rocciosa. Mantenendo la metafora, che forma assume questa materia? Quali urgenze la animano e quali fondamenta la sostengono? E come queste si intrecciano tra loro, con voi e con noi?
AR: « Strata è un titolo volutamente “magmatico”, che abbiamo scelto per significare la ricchezza e la complessità delle tante posizioni artistiche con cui ci siamo confrontati. Quando si compie l’analisi stratigrafica di un terreno è possibile vedere, quasi fossimo di fronte a una fetta di torta, le successive concrezioni geologiche succedutesi nel tempo. Nell’affrontare il lavoro di più generazioni di artisti lo sguardo sul tempo non è mai così lineare, perché più guardi le cose da vicino e più ti accorgi di come esse esistano in un regime di coesistenza. Certo, si può dire che il lavoro storiografico, critico e interpretativo consiste anche nel dipanare una certa complessità, ma in questo caso penso che il titolo dica molto: il libro è una storia degli ultimi vent’anni di arte in Italia ma attraverso “le parole degli artisti”. Questo vuol dire che non è un libro che sintetizza una visione quanto, piuttosto, che la apre e, speriamo, la complica».
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