È il 1980, a Palazzo Reale di Milano si inaugura la mostra L’altra metà dell’avanguardia, formidabile indagine che la critica d’arte Lea Vergine produce grazie a un lavoro durato anni, la prima sistematica ricognizione italiana sulle donne che «ignorate, scomparse, rintanate, morte e disperse, ormai ignare di se stesse, avevano portato alla strepitosa avventura dell’avanguardia una ricchezza straordinaria», come affermò tra gli altri lo scrittore Giorgio Manganelli. Guarda caso nello stesso 1980 l’americana Whitney Chadwick inizia a raccogliere documenti e informazioni per Women Artists and the Surrealist Movement, che uscirà nel 1985, e che ora viene pubblicato da Libri Scheiwiller. Nel 1980 molte delle protagoniste erano vive e attive, oltre che dimenticate. Ma alcune furono contrarie a un progetto che le inserisse in un censimento al femminile. Meret Oppenheim, ad esempio, che da sempre sosteneva la creatività fosse androgina, non volle entrare a far parte di questo volume. Alcune hanno accettato la qualifica di “surrealiste”, altre l’hanno rifiutata, ma la maggioranza ha partecipato ad almeno una delle esposizioni internazionali surrealiste, tutte hanno contribuito ai maggiori periodici surrealisti, le opere di ognuna di loro mostrano chiaramente l’influenza delle idee surrealiste, alcune di loro hanno vissuto incisive storie amorose con artisti surrealisti. «La storia delle artiste associate al Surrealismo – scrive Whitney Chadwick – è la storia di donne che hanno osato rinunciare alle convenzioni della propria educazione, che hanno cercato di trovare un’armonia tra la propria vita e le proprie idee e che hanno intrapreso un difficile cammino verso la maturità artistica in un’epoca in cui esistevano poche figure di riferimento femminili nelle arti visive e le donne non erano affatto incoraggiate a perseguire una loro identità professionale». Le opere qui riprodotte ci raccontano storie di creatività potenti, rappresentazioni che sono incroci tra lucide analisi dell’inconscio, e delirio; tra realtà e sogno; tra dimensioni spirituali e forze del bene, ed energie maligne. Dai magnifici quadri epifanici di Remedios Varo, come Títeres vegetales del 1930 (forse l’avrà vista, Giulia Cenci, questa colata materico-antropomorfa?), ai ritratti di Eileen Agar (ma questa pittura, Paola Angelini, l’ha conservata nella memoria del suo pennello?), alle invenzioni proteiformi prefantasy di Leonora Carrington, alle strepitose sculture di Eileen Agar, anticipatrici, che lo sappiano o no, di tanta scultura alla fratelli Chapman, alle iconografie anatomoplastiche di Ithell Colquhoun che piacerebbero (o piacciono?) a Nathalie Djuberg, alle fantasticherie statuarie di Leonor Fini, che tanto assorbirono il genio pittorico, analista dell’inconscio, Leonardo Cremonini…
E poi, in sintesi, Le artiste e il movimento surrealista, è un libro molto utile, ma anche molto doloroso. Utile, perché raccoglie testimonianze focalizzate sul periodo 1924-1947, frutto di una lunga ricerca sul surrealismo e i suoi protagonisti, a fronte della scomparsa dei nomi di donne dalle mostre e cataloghi non più curati dai surrealisti stessi, ma dalle nuove generazioni di curatori museali degli anni Cinquanta e Sessanta. Doloroso, perché vi si racconta di un’epoca in cui questi artisti squattrinati, che conducevano, anche nel solco della psicoanalisi, indagini teoriche e pratiche borderline, e spesso erano essi stessi soggetti borderline, questi artisti che affrontavano coraggiosi, visionari, pronti a tutto, il proprio tempo con l’arma degli ideali, questi poeti, scrittori, scultori, pittori, fotografi… erano disposti all’incontro e allo scontro, in un dialogo quasi sempre slegato da calcoli strategici di marketing e comunicazione. Un clima culturale e politico che ci fa riflettere, e ci si chiede come agirebbero oggi André Breton, o Maria Benz e Paul Eluard (che aderirono alla resistenza contro i nazisti occupanti Parigi), per le attuali discriminazioni europee, dal sapore neonazista, della cultura e degli intellettuali russi…
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