Il nome sopra il titolo. La vita meravigliosa di un maestro del cinema è la mitica autobiografia di Frank Capra, in cui il regista – con piglio appassionato e coinvolgente – racconta le avventurose circostanze che lo hanno avvicinato al mondo cinema, senza risparmiare aneddoti, opinioni personali e retroscena sulla Hollywood degli anni d’oro. Come nelle migliori sceneggiature, il ritmo è incalzante e ricco di pathos, con colpi di scena sempre dietro l’angolo e una trama avvincente, perfettamente bilanciata fra la vita personale e quella professionale. La storia, in fin dei conti, è quella – popolarissima – dell’outsider capace, contro ogni pronostico e nonostante le umili origini, di affermarsi grazie al talento e alla perseveranza in un ambito pieno di insidie come quello artistico. Vita e arte, infatti, si intrecciano, fornendo un punto di vista interno all’industria dello spettacolo da parte di un grande filmmaker.
Fin dalla gustosa sezione iniziale – in cui sono descritte la formazione l’ascesa del protagonista, emigrato dall’Italia giovanissimo, insieme alla famiglia in cerca di fortuna – il libro cerca di ottenere il favore del lettore, proiettandolo in un momento storico che l’autore stesso considera irripetibile. Dalla lotta quotidiana per contribuire – fin da piccolo – al sostentamento familiare, allo sconvolgente incontro con il mezzo cinematografico, il testo di Capra è abile nel rievocare un passato quasi favolistico con brevi tocchi suggestivi e romantici. Se, in buona parte, cede alla tentazione di idealizzare il passato e celebrare l’utopia del sogno americano, utilizza tuttavia con sapienza il conflitto narrativo, dando conto – in un continuo alternarsi – sia dei sacrifici che delle vittorie (per esempio dell’agognato Oscar alla miglior regia del 1935). Ogni scelta di cui il libro rende conto finisce per avere un valore morale e a ogni faticosa e meritata conquista corrisponde un amaro risvolto della medaglia – come negli intrecci al tempo stesso ottimisti e malinconici dei grandi film di Capra Accadde una notte, La vita è meravigliosa e Mr. Smith va a Washington. Proprio il racconto dell’industria del cinema, dalla metà degli anni Venti alla fine dei Quaranta, con i primi passi alla Columbia Pictures – traghettata, secondo la famosa categorizzazione degli studios della Hollywood classica, dallo stato di minor a quello di major – regala episodi indimenticabili con interpreti figure del calibro di Clark Gable, John Ford, Bette Davis e il produttore Harry Cohn.
Un ultimo elemento di interesse risiede nella ricezione critica del testo. Soprattutto secondo gli scritti dello storico del cinema Joseph McBride, autore nel 1992 di Frank Capra: The Catastrophe of Success, il regista non riconosce i giusti meriti ad alcuni collaboratori – primi fra tutti, lo sceneggiatore Robert Riskin e il direttore della fotografia Joe Walker – nella buona riuscita dei suoi film. Inoltre, nonostante le simpatie politiche reazionarie di Capra non siano mai nascoste, il libro sorvola sul suo ruolo di informatore e delatore durante il maccartismo – delle cui temibili accuse fu egli stesso vittima. L’autobiografia – edita nel 1971 e pubblicata in Italia nel 2016 grazie a minimum fax – è, infatti, pensata come una sorta di epica costituita interamente di trionfi e tragedie e, a conti fatti, risulta ampiamente romanzata. Il tono elegiaco con cui sono inscenate le vicende, d’altronde, non può che derivare da una capillare opera di revisione attentamente calcolata. Ma il lettore, consapevole e informato, non si senta tradito. Anzi: sapere in anticipo che sotto il racconto biografico si cela un certo grado di invenzione e omissione, aggiunge – se vogliamo – uno strato interpretativo ulteriore alla vita di un grande narratore di storie che – citando una delle sue pellicole più note – alimenta ancor più il fascino contraddittorio di quest’eterna illusione che è il cinema.
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