La tendenza negli ultimi anni è stata quella segnata da unariscoperta delle biografie femminili finora trascurate dal racconto della Storia. Di tutte quelle donne, nel nostro caso artiste, rimaste ingiustamente relegate nel dimenticatoio per un tempo immemore e che solo recentemente hanno potuto godere della giusta attenzione. L’autrice Elisabetta Rasy potrebbe essere una protagonista del suo stesso libro Le disobbedienti (Mondadori, 2020): romana di nascita e napoletana d’adozione, si laurea in Storia dell’arte alla Sapienza, dotandosi di strumenti intellettuali appropriati per rileggere le sei donne protagoniste. Dagli anni ’70 si occupa di saggistica, di letteratura femminile e femminista. Ma non solo: da profonda femminista quale è, fonda la casa editrice Edizioni delle Donne, nata dall’esperienza di un gruppo di femministe riunite al Teatro della Maddalena di Roma di cui era presidente Dacia Maraini. Le sue maestre di disobbedienza, cosìcome lei stessa le definisce, sono sei donne, sei artiste, a cui affibbia a ciascuna una caratteristica: per Artemisia Gentileschi, il coraggio, per Elisabeth Vigée Le Brun la tenacia, per Berthe Morisot, l’irrequietezza, per Suzanne Valadon la ribellione, per Charlotte Salomon la resistenza e, infine, per Frida Kahlo la passione. I più forse riconosceranno solo due nomi tra questi sei, e questo potrebbe già essere un sinonimo del silenzio che le ha circondate. Sono diverse in tutto, seppur accomunate dal talento e dalla tenacia con cui non si piegarono alle regole del loro tempo. Riprendo una frase della Rasy <<nel momento in cui sono diventate le artiste che volevano essere, ognuna a suo modo ha rivolto alla realtà femminile uno sguardo diverso e partecipe, capace di raccontarne gioie e ferite come la mano maschile non aveva mai fatto. E ognuna di loro, con la sua energia e indocilità, ha contribuito a cambiare la posizione femminile nella gerarchia artistica, da un’eterna periferia al centro della scena>>. Inoltre, un aspetto da notare è che ognuna delle sue pittrici, in più occasioni si è raffigurata in un autoritratto. Per suggellarsi nel tempo? E così, prima ancora di addentrarci nel capitolo a loro dedicato, abbiamo la possibilità di vederle in volto, nell’immagine, purtroppo in bianco e nero, del ritratto da loro stesse realizzato. Le guardiamo negli occhi prima di leggere di loro. Diventano per noi meno sconosciute, forse più familiari, forse in qualcuna di loro ci immedesimiamo pure. Queste eroine del pennello ci hanno dotato per sempre di una testimonianza artistica femminile del propriotempo. Una storia dell’arte che muta, non più popolata solo da presenze maschili ma anche da loro, le artiste. Una storia dell’arte per un attimo senza gli uomini. Alla fine di questa lettura ci renderemo conto di trovare in queste pagine un percorso di emancipazione della figura femminile che ancora oggi non si è concluso.
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