«Qualsiasi cosa tutti costoro avessero da cantare, strombettare, pregare e proclamare: il mio tamburo la sapeva più lunga. La mia opera era dunque distruttiva. E ciò che non riuscivo a sottomettere col tamburo lo ammazzavo con la mia voce». – Günter Grass, Il tamburo di latta
Torna a battere la grancassa assordante di una performance artistica muta di Giovanni Gaggia, pubblicata per NFC Edizioni nell’omonima monografia The colours of changement, con la prefazione di Marcella Russo e il testo critico di Pietro Gaglianò. Tra le pagine un arcobaleno di tessuti svolazza ritratto negli scatti di Michele Alberto Sereni, rievocando, nella simultaneità sensoriale dettata dal loro ritmo serrato, l’incessante tambureggiare della denuncia e della autoaffermazione. Smembrata nei suoi tredici colori, e poi ulteriormente ridotta in centotrenta scampoli di stoffa (dieci per tinta), l’iconica bandiera disegnata da Daniel Quasar viene spolpata nelle sue dimensioni diverse e scagliata in aria per innescare il dialogo sull’inclusività della comunità LGBTQ+ nel mondo dello sport. Ma non solo.
Lo scorso anno la performance si è inserita nei contesti teramani della prima edizione del progetto d’arte pubblica One Flag e dello storico torneo internazionale di pallamano giovanile Interamnia World Cup. Due sono infatti i tempi dell’azione, distinti ma complementari: il primo – il tempo contratto della riflessione – coinvolge i giovani atleti nello spazio chiuso ed esclusivo del campo da gioco, dove la tensione e l’energia del gesto invocano il superamento delle barriere interpersonali nella dimensione dell’agone. Il secondo momento – quello della pura espressione – si apre invece allo spazio pubblico della città, invitata a confrontarsi, ora senza limiti di contesto, con i temi dell’integrazione e dei diritti civili. Fondale significativo è quello del Duomo, il cui portale a rincassi murari pare amplificare l’eco delle movenze atone dell’artista.
Ogni frammento, suggerisce Gaggia, è portatore di un messaggio di unità nella diversità. Ogni coloratura, ogni storia ha un valore in sé e insieme alle altre. Il tutto trascende la somma delle parti; al contempo, però, ciascuna di esse è necessaria, essenziale a formare e mantenere quel tutto. Nelle sue implicazioni negative lo strappo sottende infatti un avvertimento: il rischio perenne della disgregazione; il rischio perenne, e tutto individuale, della paura e dello smarrimento. Ma il recente destino dell’opera rassicura e getta luce nell’ombra. Riassemblati nelle immagini di due nuove “bandiere”, i drappi sono attualmente esposti a Noto, all’interno della rassegna multimediale Experimentum Crucis 2024 (terza edizione), a cura di Rosa Anna Musumeci. Presentata assieme alle opere di altri 38 artisti per riflettere sul tema del conflitto e sulla forza salvifica della conciliazione, l’opera di Gaggia assume qui nuova forma: inedita germinazione che scaturisce dall’evenienza del disfacimento. Proseguendo nella contaminatio sensoriale – e letteraria –, a risuonare nella memoria è ora la voce salvifica di Ezra Pound in uno dei suoi Canti Pisani, dove consacrata è l’inviolabile facoltà (se non l’ineludibile necessità) di ogni individuo a perseverare nel proprio essere:
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
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