Che cosa sappiamo, veramente, dellâIntelligenza Artificiale? Se ne fa un gran parlare, ma quali sono e saranno le ricadute sulla nostra vita?
Tanto per fare un esempio a noi vicino, lâI.A. ha fatto il suo ingresso nel mercato dellâarte e dei beni da collezione giĂ a partire dal 2018. Secondo il report 2019 pubblicato da Deloitte Private, a cura di Giorgia Coltella, Francesco Magagnini, Fabrizio Malfanti e Gabriele Torre (Kellify s.p.a.) lâI.A. soddisferebbe molte aspettative: a partire dalla prevenzione anti-frode, alla catalogazione e alla raccomandazione delle opere. Inoltre la produzione di âopere originaliâ da parte di algoritmi sta diventando una realtĂ a tutto tondo. Basti pensare al Portrait of Edmond de Belam del 2018, battuto da Christieâs New York a favore di un acquirente anonimo, a un hammer price di 432mila dollari, cioè 43 volte superiore alla base dâasta che partiva da 7-10mila dollari. Stiamo parlando di una semplice stampa su tela 70 centimetri per 70, il cui soggetto fa riferimento ad un presunto gentiluomo francese con rendigote e colletto bianco; unâimmagine tutto sommato abbastanza confusa e dai lineamenti sfumati che in basso a destra porta la firma degli autori MinG MaxD E (logD(x)+E2 (log(1-D LG (Z)))). Hugo Caselles-Duprè, Pierre Fautriel e Gauthier Vernier, del collettivo francese Obvious ne sono gli autori. Alla base del âprocesso creativoâ câè un algoritmo, col quale gli artefici si firmano, che â precisano gli autori del report Deloitte â âprevede il âconfronto-scontroâ di due reti neurali, allo scopo di assimilare concetti astratti, altrimenti impossibili da esprimere attraverso un puro formalismo matematico.â Per farla semplice si tratta di un algoritmo (GAN) impostato su âreti generative avversarie alimentate con un insieme di immagini relative a 15000 ritratti storici realizzati tra il XIV e il XX secoloâ.
Senza addentrarci nelle tecnicitĂ del processo informatico possiamo dire che per quanto riguarda lâarte, la risposta del mercato, come si è visto, è stata immediata. Naturalmente al di lĂ del risultato formale del dipinto, a nostro avviso del tutto trascurabile, ciò che interessa veramente â ed è quanto si sta dibattendo seriamente in ambito scientifico â è verificare se, e in che modo, gli algoritmi possono essere âcreativiâ, visto e considerato che in alcuni processi informatici applicati si registra un autonomo accrescimento di siffatta intelligenza; lâalgoritmo impara da sĂŠ, secondo una sorta di deuterapprendimento (per dirla con Gregory Bateson) che, notoriamente, appartiene allâuomo capace, anche se non sempre (sic) dâimparare dai suoi errori, arrivando a sintesi e intuizioni che, nel bene e nel male, lo contraddistinguono dal mondo animale. In sostanza una prerogativa che appartiene ai sistemi complessi, come la coscienza umana, appunto. Lâavvento dellâI.A. riapre a ventaglio problematiche filosofiche, biologiche, antropologiche che vanno ad intrecciarsi con gli interessi della bio chimica o delle filosofie della mente; riapre la questione della coscienza e quindi della creativitĂ , benchĂŠ questâultima sia difficilmente codificabile in formule. Pertanto, davanti a noi, specialmente davanti alle nuove generazioni, si pone un coacervo di problemi ai quali non è possibile sottrarsi. Insomma, siamo tutti invitati per forza alla âconversazione piĂš importante del nostro tempoâ, come suggerisce Max Tegmark nel suo brillante saggio Vita 3.0. Esseri umani nellâera dellâintelligenza artificiale, uscito per i tipi di Raffaello Cortina 2018.
Lâautore â professore di Fisica al MIT e presidente del Future of Life Institute â traccia una breve storia della complessitĂ sviluppatasi nel corso di 13,8 miliardi di anni; un lungo tempo al termine del quale appare lâuomo, materia intelligente, che si è âsvegliataâ diventando consapevole di se stessa. Lâorigine della bellezza, pur anche del meraviglioso â sostiene Tegmark â coincide con lâaffioramento dellâautoconsapevolezza. Dunque, un alto livello raggiunto dallâuomo, che lo distingue dalle altre biodiversitĂ , anche per il potere che esercita su di esse, e che in seguito a questa peculiaritĂ di ârisveglio cosmicoâ lâuniverso inizia ad assumere un senso. Lo sviluppo della vita â schematizza Tegmark â lo si può dividere âin tre stadi, distinti, in base alla capacitĂ di progettare se stessa: Vita 1.0 non è in grado di riprogettare nĂŠ il proprio hardware nĂŠ il proprio software nel corso della sua vita: entrambi sono determinati dal suo DNA, e cambiano solo attraverso lâevoluzione nel corso di molte generazioni. Vita2.0, invece, può riprogettare gran parte del proprio software: gli esseri umani possono apprendere nuove abilitĂ complesse (per esempio lingue, sport e professioni) e possono aggiornare fondamentalmente la loro visione del mondo e i loro fini. Vita 3.0, che non esiste ancora sulla Terra, può drasticamente riprogettare non solo il proprio software, ma anche il proprio hardware, senza dover aspettare che evolva gradualmente nellâarco di generazioni.â
Al di lĂ delle prevedibili controversie attuali e future su questo tema essenziale â il cui approfondimento rimandiamo al lettore interessato â tipo âse apparisse una IA superumana, sarebbe una buona cosa?â, per quanto riguarda il valore intrinseco della creativitĂ artistica, è lecito chiedersi se questo intramontabile processo, in futuro apparterrĂ unicamente allâuomo o rientrerĂ nel novero delle possibilitĂ della Vita 3.0, i cui innumerevoli sviluppi incrementati dallâIA al momento sono fortemente intuibili?
Quale destino sarĂ dunque quello della civiltĂ âuomo-macchinaâ, come direbbe Raymond Kurzweill; destino che lâinventore informatico statunitense ama definire SingolaritĂ , cioè âun periodo futuro in cui il ritmo del cambiamento tecnologico sarĂ cosĂŹ rapido e il suo impatto cosĂŹ profondo, che la vita umana ne sarĂ trasformata in modo irreversibileâ.
Max Tegmark, Vita 3.0. Esseri umani nellâera dellâintelligenza artificiale.
Raffaello Cortina Editore, 2018
ISBN 9788860309952
Euro 29
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