«Centocinquanta persone coinvolte. Una ventina di voli, una decina di treni. Quaranta macchine a disposizione». Inizia così l’editoriale scritto da Emanuele Farneti, direttore di Vogue Italia, per introdurre il numero della rivista in uscita a gennaio. Sembra un ingresso trionfale, come spesso se ne scrivono per presentare una manifestazione, una mostra, un progetto. Decine di eventi in programma, centinaia di opere in esposizione, migliaia di persone accorse da tutto il mondo. Ma poi il discorso di Farneti prende una deviazione che diventa sempre più tristemente evidente: «Sessanta spedizioni internazionali. Almeno dieci ore di luci accese ininterrottamente, alimentate in parte da generatori a benzina. Scarti alimentari dei catering. Plastica per avvolgere gli abiti. Corrente per ricaricare telefoni, macchine fotografiche…».
Si tratta del racconto, sintetizzato nei suoi numeri, che sta dietro alla produzione del numero di Vogue di settembre. Ma il prossimo, in uscita il 7 gennaio, sarà un Vogue inedito, in cui sia le copertine che i servizi non saranno fotografati ma illustrati da artisti e fumettisti. Che hanno rinunciato a viaggiare da un capo all’altro del mondo, a spedire interi guardaroba, a inquinare.
Ricordo, accatastati nelle umide zone d’ombra delle Biennali e delle Fiere, caotici cumuli di certe riviste d’arte, distribuite agli ingressi come fossero volantini dei saldi di un negozio di chincaglierie spicciole. E poi gettate con la stessa noncuranza dagli stessi lettori distratti, una copia sull’altra, nei pressi di contenitori dei rifiuti già pieni di altri tipi di residui. Come se la carta non avesse un peso, un prezzo da scontare. A essere offesa – oltre alla considerazione del proprio lavoro – è l’onestà intellettuale, il che «Nel nostro caso significa ammettere che fare un giornale di moda ha un impatto ambientale significativo», continua Farneti.
E così, ecco la creatività che si ingegna, non solo per trovare ma anche per percorrere una strada concretamente alternativa e non per questo meno affascinante, anzi. Ovviamente non a detrimento della fotografia, arte in sé nobilissima e profondissima senza alcuna diatriba, ci mancherebbe. In questo caso, il discorso va ben oltre il medium e riguarda la responsabilità di chi produce, contenuti o oggetti, pensieri o cose, il contemporaneo ci ha insegnato che la differenza tra i due ambiti è veramente poca. E non è affatto tranquillizzante, in termini di chili o di kb da sostenere.
Per raccontare queste storie di moda, gli autori sono stati affiancati da stylist e hanno preso in prestito il volto di donne reali, per dimostrare che si può raccontare un abito senza fotografarlo. «Vogue Italia non aveva mai avuto una copertina illustrata e nessun Vogue, da quando esiste la fotografia, ha mai realizzato un numero prescindendone», spiega Farneti. David Salle, Vanessa Beecroft, Cassi Namoda, Milo Manara, Delphine Desane, Paolo Ventura, Yoshitaka Amano, sono gli artisti e fumettisti, notissimi ed emergenti, che hanno scelto di mettersi alla prova e i risultati sono suggestivi, colorati, pieni di forme, ritmi, stili. Ma c’è anche altro.
Il budget risparmiato per produrre il numero andrà a finanziare un progetto di restauro della Fondazione Querini Stampalia Onlus di Venezia, gravemente danneggiata dalla marea dello scorso novembre. A proposito, ne è rimasta qualche traccia, nei programmi e nei proclami dei musei italiani? Si è fatto qualcosa per raccogliere e tramandare ma anche per rielaborare, reinterpretare, la testimonianza di quegli eventi? Lo ribadiamo, ancora una volta. Intanto, raccogliamo la provocazione di Farneti e, dopo aver fatto i numeri di alcune manifestazioni più o meno green, da Artissima a Più libri più liberi, ricordiamo ai nostri lettori che, da oggi in poi, le shopper di exibart saranno interamente realizzate in plastica biodegradabile.
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