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Volevo essere Madame Bovary: il femminismo atipico di Anilda Ibrahimi
Libri ed editoria
di redazione
Un ritorno potente in libreria di Anilda Ibrahimi, con il romanzo “Volevo essere Madame Bovary”, uscito il 24 maggio per Einaudi. Già nota al pubblico con “Rosso come una sposa” e premio Rapallo nel 2017 con “Il tuo nome è una promessa”, anche in questo romanzo l’autrice si focalizza sulle figure femminili. Con la sua voce essenziale e ironica, Ibrahimi narra la storia generazionale delle donne che hanno vissuto il socialismo reale, quando il patriarcato tradizionale fu sostituito da quello socialista.
Hera, la protagonista, è una ragazza che osserva e cerca di capire il mondo e l’unico modo che ha per farlo, vivendo in un regime dove la donna teoricamente ha raggiunto la parità con l’uomo, sono i romanzi che legge e che la fanno sognare. Vorrebbe essere Madame Bovary o Anna Karenina, vorrebbe essere una femmina e invece deve essere l’Uomo Nuovo e vestirsi come un maschio per costruire la nuova società. Poi, un giorno se ne va dal suo Paese e arriva in Italia, cerca di adattarsi al mondo nuovo e vivere da donna emancipata, aveva rifiutato di creare la famiglia socialista e, invece, finisce per crearne una cattolica.
In questo romanzo, Ibrahimi ribalta tutti gli stereotipi sulla libertà dell’occidente, dove trova una nuova dittatura, quella del pensiero unico dominante: nella lotta per l’emancipazione, le donne vanitose come lei, che amano i bei vestiti ed essere desiderate dagli uomini, sono guardate con disprezzo. Hera vorrebbe essere una femminista, ma il suo femminismo è diverso, viaggia su tacco dodici e non odia gli uomini.
Anilda Ibrahimi ha scritto un romanzo sulle insidie dell’appartenenza e della memoria, sui modelli femminili da incarnare e ribaltare, sull’importanza di rimanere fedeli a ciò che siamo diventati quando il tempo insiste per riportarci indietro.
Anilda Ibrahimi, Volevo essere Madame Bovary, 2022, pp. 232, € 9,99, ISBN 9788858439616