Martha Rosler e Hito Steyerl, War Games, 2018, veduta della mostra al Kunstmuseum di Basel
Inauguriamo oggi una nuova rubrica che a venerdì alterni arriverà sulle pagine di exibart online. Abbiamo deciso di intitolarla “xbooks”, riferendoci alla x del nome del nostro giornale, ma anche x come incognita o x come punto fermo, come caposaldo o punto d’arrivo su una ipotetica mappa di pensiero. xbooks sarà una rubrica che parlerà di libri, e potrà in qualche misura anche essere un aiuto per scegliere cosa leggere sotto l’ombrellone o al fresco di qualche montagna in questa strana estate di silenzi.
Voglio inaugurare questa rubrica con una lettura che vi tornerà utile per conoscere le relazioni tra il sistema economico globalizzato e il mercato dell’arte, accomodatosi a braccetto con la finanza in un posto di un certo rilievo, se è vero che una statuetta in acciaio satinato raffigurante un coniglietto-giocattolo nel 2019 viene battuto da Christie’s a 91 e passa milioni di dollari (sia l’artista che il gallerista acquirente sono ex brokers).
In Duty free art. L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria, uscito nel 2017 per Johan & Levi, Hito Steyerl dipana un’indagine per certi versi sorprendente, nonostante studiosi soprattutto francesi, ma non solo, dagli anni ’60 scrivano intorno a cosa stia diventando l’arte in relazione alla “società dello spettacolo” (Debord); all’ “oscenità della comunicazione” (Baudrillard), alla “colonizzazione del sogno” (Augé); alla “paccottiglia dell’arte contemporanea” (Clair); all’eliminazione radicale di valori “spirituali” (Elkins); alla “formidabile industria di immagini degli Stati Uniti” (Fumaroli); all’”artistizzazione” di qualunque cosa, anche all’insaputa del suo autore (Perniola). Ma Hito Steyerl è un’artista, oltre che un’analista del mondo dell’arte: tratto distintivo, per la sua critica delle fenomenologie della visione, che procede con metodo, e s’inoltra nel presente interrogando il passato e nel passato alla luce del presente, come nel talk “Moving Image Artist- Bubble vision” presso la Penny Stamps School dell’Università del Michigan, dove il Salvator Mundi di Leonardo è vettore di uno sguardo che punta alle Biospheres di Amazon o al meccanismo selfie di Koons davanti alla Gioconda. Di questa sperimentatrice nei territori dei significati delle immagini, di questa ricercatrice delle dinamiche politiche in cui l’arte è implicata, Exibart si è occupato più volte, tre le altre nel 2018 per la mostra “La città delle finestre rotte” a Rivoli, e nel 2019 per il suo intervento “This is the Future” nel padiglione tedesco de La Biennale di Venezia (che nel 2017 aveva ospitato un’altra opera altamente significativa, Faust, capolavoro di Anne Imhof). Leggetelo, questo libro: terrorizza come solo la verità sa fare, tra azzeramento del senso dell’arte nei porti franchi e museoni dove si ammanetta il pensiero. “L’arte scomoda finirà giù dalla finestra: ovvero tutto ciò che non è piatto o non è enorme, che risulta vagamente complesso o provocatorio. Il sostegno dell’opinione pubblica barattato con le statistiche di Instagram. L’arte quotata in borsa sul listino dei titoli degli stronzi. Fiere sempre più numerose, yacht sempre più lunghi per teste di cazzo sempre più brutali…”.
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