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xbooks #5. Tim Burton: la maschera della verità si racconta
Libri ed editoria
Nell’epoca del carnevale e del travestimento perpetui, dove i reazionari hanno la maschera da progressisti, i progressisti lavorano sodo perchè non si progredisca un tubo, i mezzi d’informazione sarà difficile che informino visto che servono la politica, oggi parliamo di uno che dice verità tra maschere e travestimenti. Trattasi di un adulto non conforme, forse anche perché restato ragazzo, un artista della visione che revisiona il mondo a propria immagine e somiglianza. M’incanto, davanti alle relazioni tra pensiero, realizzazione dell’opera e parola, m’incanto davanti alla scrittura di artisti che raccontano di sé e fanno accedere il lettore su scenari impensabili e nelle inconosciute pratiche del proprio lavoro. Così avviene in Burton on Burton uscito nel 1995 e ora nella sesta edizione della Universale Economica Feltrinelli. Dato il soggetto è troppo facile dire che è un libro fantastico, ma è proprio così. E non importa che non vi sia documentato il lavoro più recente di Burton, perché il ragazzo è rimasto se stesso in questi ultimi 25 anni, matto e insieme oculato, e non conforme. E leggetelo questo libro, tra severe case di produzione e azzardi burtoniani, volerete negli studi dove il disegno viene tradotto nell’animazione a passo uno, prediletta perché “sono stato sempre attento a far emergere il lato artigianale delle cose, quello in cui si sente la mano dell’uomo e che genera questa energia così difficile da descrivere”.
Volerete nella mente dove dove Edward Mani di forbice si forma lentamente, dove il fumetto The Batman diventa film che disvela per la prima volta il lato oscuro del protagonista e di Gotham city. Dove gli effetti speciali “sono le prime cose da tagliare” a fronte di fondali dipinti a mano e di scenografie di case e città che hanno “odore e peso specifico”. E il rapporto con la letteratura, con l’impressionismo, con l’espressionismo, con gli attori come l’amico Johnny Depp, la venerazione per Fellini, l’ammirazione per lo scenografo Dante Ferretti, per Jack Nicholson, per Helena Bonham Carter, il sodalizio con il creatore di Batman, Bob Kane, con Michael Keaton, con lo scrittore Daniel Wallace, con Danny De Vito… E più non dico. Sentiamo che dice lui, il disegnatore, illustratore, fumettaro, regista Tim Burton, nato nel 1958 a Burbank, California, da Bill, che lavorava nell’ufficio Parchi e Divertimenti di Burbank, e Jean, che aveva un negozio di articoli da regalo, tutti con un qualche riferimento ai gatti. Tim Burton, che fa ridere da paura quando appare tra pubblico e vip con un rivolo di sangue finto che gli esce dal naso.
Su Frankenweenie per esempio, suo primo film con attori professionisti (Shelley Duvall, Daniel Stern Barret Olivier), finito negli archivi della Disney e non nelle sale, perché classificato Parental Guidance. Burton chiede cosa debba tagliare, gli si risponde che non deve tagliare niente, perché più che altro è l’atmosfera che non va. “C’è stata una proiezione sperimentale in cui hanno messo insieme Frankenweenie e Pinocchio. Se chiedi a un qualunque bambino ti dirà che ci sono diverse cose spaventose, in Pinocchio. La nostra percezione, non avendolo visto da tanto tempo, è che si tratti di un classico per l’infanzia. Pensiamo la stessa cosa delle favole. Quando sentiamo la parola favola pensiamo a una tenera storia per bambini. Ma non è così. Pinocchio è una storia piuttosto delicata, ma ci sono anche momenti forti. Ricordo che quando lo vidi da bambino mi spaventò e che altri bambini scoppiarono in lacrime”.
O su La fabbrica del cioccolato: “La semplicità della storia è ingannevole. Un libro è una cosa diversa. Ci sono cose che in libro appaiono semplici, tipiche di una favola, ma che non puoi rifare pari pari al cinema senza diventare banale. La moglie di Roal Dahl, lo scrittore autore del racconto da cui è tratto il film, mi mostrò i manoscritti, e la cosa più incredibile è che erano tutti scritti a mano. E poi, in bozza, erano ancora più politicamente scorretti che nella versione finale. Per esempio all’inizio c’erano altri cinque bambini e uno di loro si chiamava Herpes. Lui era uno che era come scriveva, per questo i suoi libri sono quel che sono… E ti mostra anche che quando uno scrive direttamente dal cuore, alla fine si vede.” “È che quando sei piccolo sei attratto dalle cose pericolose, da quelle che ti fanno paura. È così che cresci, che sviluppi la tua creatività e il tuo modo di vedere le cose. I ragazzini sono fantastici, ma diciamoci la verità, tutti siamo andati a scuola, e per un ragazzino non c’è persona più orribile di un altro ragazzino”.
Su Fellini: ”Quel che mi piace di Fellini è la sua capacità di creare delle immagini che ti trasmettono qualcosa, anche quando non è chiaro il loro significato letterale. E questo non vuol dire fare delle immagini solo per il gusto di fare. Anche se magari non capivo tutto quello che stava dietro, sentivo che c’era un cuore, dietro quelle immagini. Questo è quel che ho imparato da Fellini, che le cose non devono essere letterali, non c’è bisogno di capire tutto. Anche quando c’è un’immagine estrema, fuori dalla realtà così come viene normalmente percepita, devi sentire qualcosa. Sono proprio le cose inespresse che, per me, sono meravigliose. È questa la magia del cinema. Ecco perché tutti subiamo il fascino del cinema, Perché ha a che vedere con i sogni e con l’inconscio”.
“Qualunque cosa lui voglia girare, io lo faccio. Per me lui è un genio”, ha scritto Johnny Depp.
Tim Burton racconta Tim Burton
Prefazione di Johnny Depp
Milano, Feltrinelli, 2020
Le precedenti puntate della rubrica xbooks le potete trovare cliccando qui