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xbooks #6. La video arte è un genere autonomo: un’antologia
Libri ed editoria
Una nuova puntata della rubrica xbooks, stavolta dedicata a un saggio del critico Piero Deggiovanni, che analizza lo stato della videoarte italiana negli ultimi 10 anni.
Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020, quasi mi commuovo a leggerla se penso ai molti testi antologici degli ultimi anni, significativi come elenchi telefonici. Divisa in sei dense sezioni in un solco che va da Alessandro Amaducci a Fabrizio Passarella (Il corpo e le sue declinazioni; Found Footage; Verso il grado zero; Critica sociale; Ambiente e territorio; Animazione) e con una premessa metodologica (riappare il metodo, il beato estinto della critica d’arte) che citeremo per ultima, sposando la convinzione dell’Autore secondo cui tentare di comprendere un’opera vuol dire partire da lei, dal suo nucleo poetico, dal suo statuto fabrile e tecnico. Detta così sembra un’ovvietà, ma conosciamo bene le diffuse roboanti impalcature critiche e ideologiche addossate all’opera d’arte, una magnificenza che spesso crolla quando l’opera viene riguardata sola soletta in compagnia di se stessa. Ora però, diciamocelo, quello della videoarte è un campo minato: i più sbalorditivi sbadigli della mia vita credo di averli fatti davanti a dei video d’artista. Ma anche, e sottolineo anche, sono sorprendenti la vitalità sperimentale, le novità linguistiche, le aperture d’inconsueti scenari fantastici, le illuminazioni poetiche che la videoarte è in grado di erogare grazie anche ai dispositivi di cui dispone.
Prendete Elena Bellantoni e il suo lavoro, in alcuni casi esplicitamente documentario, sull’identità/alterità, né politicizzato, né ideologico, anche quando si occupa di immigrazione, ma etico, e antropologico. In Hala Yella si svolge un incontro prezioso e struggente con la signora Calderon, l’ultima persona dell’etnia Yegan, indigena della Terra del Fuoco. In The Struggle for Power, the Fox and the Wolf , “la Sala Internazionale per le Conferenze” alla Farnesina, sede del Ministero agli Affari Esteri, diventa lo scenario per una coppia di ballerini che indossano la maschera da volpe-femmina e da lupo-maschio, impegnati in una danza che è simbolicamente lotta per il potere. “Potere della seduzione e del controllo-scrive Deggiovanni- si alternano sui passi del tango, mentre una voce fuori campo descrive scientificamente i comportamenti delle fasi di corteggiamento dei due e funge da commento didascalico alla sfida cui assistiamo, un po’ come nel film Mon Oncle d’Amérique di Alain Resnais”.
Oppure, guardate i video sommessi, poetici e intimisti, di Cosimo Terlizzi, che nel suo percorso ha utilizzato ogni tipo di linguaggio e dispositivo audiovisivo, dalla cinepresa amatoriale alla videocamera, dallo smartphone a skype. Terlizzi ha un viso avvenente da bravo ragazzo, che come accade ai grandi attori si presta alle più diverse interpretazioni. Ed è indimenticabile, e sovvertitore di questi nostri tempi malandati, il suo La benedizioni degli animali, una storia senza accadimenti sottesa da spiritualità, arcaismi, ritualità, bellezza. È nel solco della fenomenologia di Luciano Anceschi che Piero Deggiovanni agisce e analizza, e col viatico della sua affermazione “…nessuna idea può sovrapporsi al vivente”, nessuna teoria può imbrigliare le irriducibili dinamiche dell’ opera d’arte. Una linea filosofica che nell’ibridazione linguistica e nel flusso dei mutamenti creativi individua un nucleo sub stanziale. Una scuola di pensiero cui l’autore di questa Antologia aderisce, e rilancia, per inserirsi nel dibattito critico sulla videoarte e affermarla come genere artistico autonomo, in cui convergono autori provenienti da discipline affatto diverse, che ne hanno rinverdita e modificata la forma.